«Fate presto». Dal Quirinale arriva un messaggio chiaro: perché lasciare nel limbo il Csm, perché attendere un’altra settimana per completare il nuovo plenum? Perché, è l’interrogativo opportunamente instillato dalla presidenza della Repubblica ai vertici del Parlamento, non far tornare invece immediatamente deputati e senatori in seduta comune ed eleggere subito, anziché martedì prossimo, il decimo consigliere non togato, l’ultimo mancante, che sarà certamente il professore catanese Felice Giuffrè, indicato da FdI? E così la definizione del nuovo plenum potrebbe compiersi già oggi, alle 14.30, appuntamento comunicato ieri dal vicepresidente di Montecitorio Giorgio Mulè.

UN CSM “A BASSA INTENSITÀ POLITICA”

Il Quirinale gradisce, comprensibilmente, un celere ripristino se non della legalità - per carità, il Csm tuttora in prorogatio è atipico ma non illegale - certamente della piena operatività dell’organo di autogoverno. Sarà così. E si potrà finalmente aprire un quadriennio destinato ad essere assai meno “politico” dei precedenti.

Il Consiglio superiore torna ad essere un “organo di alta amministrazione”, anziché un surrogato o un avatar del Parlamento. È la sola maniera per disinnescare il più possibile i corto circuiti che hanno prodotto, nella scorsa edizione, lo “scandalo Procure”, e che in generale hanno ammorbato l’aria con derive del correntismo e lottizzazioni. Sembra passata non tanto la linea di Sergio Mattarella che, come riportato su queste pagine, non aveva trasmesso ai partiti alcun diktat, ma un approccio che pare condivisibile anche dal punto di vista del Colle. Minimalista? Forse.

Si erano fatti nomi di forte rilievo mediatico, oltre che di grande spessore, per la componente laica. Addirittura una ministra in carica, la responsabile delle Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati. Sarebbe stato difficile non assegnare lo scranno più alto del plenum a chi è reduce dalla seconda carica dello Stato. Discorso che vale anche per Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali. E che dire di Anna Rossomando, vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia del Pd? O di Gaetano Pecorella, a sua volta già presidente della commissione Giustizia della Camera eletto con FI e pilastro delle Camere penali? Tutte ipotesi sulle quali ci si è esercitati nel lungo totonomi e poi accantonate. La spiegazione c’è. Si immagini se in plenum, e magari alla vicepresidenza, ci si fosse trovati con un avvocato o un professore dal tratto così “politico”, schierato per la separazione delle carriere o l’inappellabilità delle assoluzioni: è chiaro che una controparte cosi connotata avrebbe in qualche modo “incoraggiato” un atteggiamento più militante delle correnti. E nella politicizzazione, il ritorno del Csm alla sua vocazione naturale, l’alta amministrazione appunto, si sarebbe allontanato. Avrebbero ritrovato “giustificazione” nomine di capi degli uffici giudiziari a loro volta più “politiche”.

E se tutte queste erano prospettive sgradevoli oggettivamente, e immaginabilmente sgradite al Quirinale, un Csm troppo “risonante” avrebbe creato problemi anche al governo di Giorgia Meloni, che non aveva alcun interesse a ritrovarsi con un Csm ancora una volta trasformato in terza Camera, teatro di conflitti incendiari sulle riforme. Non era uno scenario utile, alla premier e al suo esecutivo, perché se davvero si dovrà arrivare alle carriere separate e a un restyling sulle intercettazioni, come confermato ieri da Carlo Nordio alla Camera, bastano e avanzano i conflitti che già arroventeranno il Parlamento. Favorirne una replica a Palazzo dei Marescialli avrebbe complicato ancora di più, se possibile, la vita del governo e del guardasigilli.

Si spiega anche così il carattere certamente prestigioso e autorevole, ma assai meno “politico” del previsto, della componente laica eletta martedì e che sarà completata oggi da Giuffré: solo tre ex parlamentari, vale a dire Isabella Bertolini (penalista che da FI si è avvicinata a FdI), Enrico Aimi (anche lui avvocato, indicato da FI) e Ernesto Carbone (ex deputato dem individuato dal Terzo polo e in particolare da Italia viva). Sono lontani da esplicite connotazioni politiche la professoressa Daniela Bianchini e l’avvocata Rosanna Natoli, indicate da FdI, gli avvocati Fabio Pinelli e Claudia Eccher, scelti dalla Lega, i professori Roberto Romboli e Michele Papa, individuati da Pd e 5 Stelle.

I SILURI DI PD E M5S AI LAICI DI FDI E IV

Certo non si possono ignorare le tensioni che hanno accompagnato il voto dei laici. Martedì è andata in scena una curiosa asimmetria, nell’attuazione dell’intesa fra centrodestra e opposizioni. A parte il siluro chirurgico che ha abbattuto la candidatura di Peppe Valentino, favorito per la vicepresidenza di Palazzo dei Marescialli, il M5S ma anche il Pd hanno fatto mancare non pochi voti pure su altri nomi indicati da maggioranza e Terzo polo.

È passato con uno score basso l’avvocato di Iv Carbone: 399 voti, appena 35 in più del quorum previsto. Il raffronto con le preferenze raccolte dagli altri eletti dà la netta impressione che a snobbare il professionista cosentino non siano stati solo i grillini, ancora irritati per un suo lontano tweet in occasione del referendum sulle trivelle, ma anche una quota di democratici: Romboli, scelto come detto dal Pd, ha ottenuto quasi un en plein, con 531 sì. Se da un lato la maggioranza si è attenuta all’intesa bipartisan, parte dell’opposizione ha avuto un atteggiamento decisamente più anarchico (non eccezionale è anche la quota raggiunta da Papa, indicato come detto dai 5 Stelle e feramtosi a 506).

Romboli è un accademico molto apprezzato, professore emerito di Diritto costituzionale all’università di Pisa, e ha un curriculum in grado di proiettarlo verso la vicepresidenza del Csm. Soprattutto ora che il favorito di centrodestra, Valentino, è stato messo fuori gioco. E a maggior ragione se l’asse Pd- M5S che ha tenuto appena sopra la soglia minima il renziano Carbone confermerà anche in plenum la propria “agilità”, al punto da saldarsi con il decisivo fronte togato e mettere fuori causa altri aspiranti vertici di Palazzo dei Marescialli come Pinelli. Sarebbe un colpaccio, e la conferma che a piazza Indipendenza il centrodestra è in minoranza persino quando governa il Paese.