NATALE, PERCHE’?

Ci siamo, ecco la data fatidica del 25 dicembre: il Natale. Il presepio, l’albero, Babbo Natale, i mille auguri, i pranzi in famiglia... Avvertiamo una spinta robusta nei confronti di queste festività, anche se non siamo credenti. In questo periodo disgraziato, frenati dalla pandemia, è come se il desiderio fosse trattenuto, privato della gioia della condivisione, quando invece a maggior ragione quest’anno il Natale è caricato ancor più di affettività.

Ma quali sono le spinte culturali che, inconsapevolmente, influenzano il nostro modo di vivere il Natale e quello che desideriamo, vogliamo, facciamo?

Del Natale a tutta prima sembra che non ci sia molto da dire sul piano psicologico: in questo giorno si celebra la ricorrenza della nascita del Salvatore e in suo omaggio gli esseri umani di buona volontà si sentono più buoni e più generosi. NATALE, PERCHÈ?

PENALISTA, DOCENTE DI PSICOLOGIA SOCIALE

Ci siamo, domani è la data fatidica del 25 dicembre: il Natale. Il presepio, l’albero, Babbo Natale, i mille auguri, i pranzi in famiglia... Avvertiamo una spinta robusta nei confronti di queste festività, anche se non siamo credenti. In questo periodo disgraziato, frenati dalla pandemia, è come se il desiderio fosse trattenuto, privato della gioia della condivisione, quando invece a maggior ragione quest’anno il Natale è caricato ancor più di affettività. Ma quali sono le spinte culturali che, inconsapevolmente, influenzano il nostro modo di vivere il Natale e quello che desideriamo, vogliamo, facciamo?

Del Natale a tutta prima sembra che non ci sia molto da dire sul piano psicologico: in questo giorno si celebra la ricorrenza della nascita del Salvatore e in suo omaggio gli esseri umani di buona volontà si sentono più buoni e più generosi. Tuttavia, il significato del 25 dicembre, sotto certi aspetti, sembra prescindere dal fatto storico che ci induce a festeggiarlo: per esempio, il Natale è spesso occasione di festa anche per gli ebrei che pure non riconoscono in Cristo il Salvatore preannunciato dai profeti. Il mondo ebraico celebra in questo periodo una festa carica di significato: il Channukkà o “Festa delle luci”, che dura otto giorni ( quest’anno dal 10 al 18 dicembre), e ricorda la riconquista del tempio di Gerusalemme, profanato nel 167 a. C. dal re Antioco IV Epifane che lo fece consacrare a Zeus, scatenando così la rivolta degli ebrei, guidati da Giuda Maccabeo. Il simbolo del Channukkà è la luce divina, ed è per queste ragioni che usanza tipica di questa festività è quella di accendere un lume per ogni sera di festa, poggiandolo sulla lampada – il “servitore” – posta sulle finestre per rendere noto ai passanti il miracolo della riconquista della libertà e indipendenza culturale. Gli otto giorni di Channukà sono un periodo di gioia anche per i bambini, che ricevono i regali, tra cui le dreidl, trottole a quattro frecce con l’iscrizione “lì è avvenuto un grande prodigio” e soldi premio per aver studiato la Torah. La festa delle luci invade anche la tavola: si va dal tipico bombolone fritto nell’olio d’oliva alle fettine di mele cosparse di zucchero e cannella, passando per il riso alle uvette, molto diffuso anche sulle tavole italiane. Data poi la vicinanza della festa ebraica con il Natale, negli Stati Uniti le due feste, in realtà diverse, sono state riunite in una festività “pop” chiamata Chrismukkah, festa a lungo contestata e celebrata specialmente dalle famiglie con diversa estrazione religiosa. Ma come spiegare che in questo periodo di dicembre si celebravano feste religiose molto prima della nascita di Cristo, presso i Romani, i Persiani, gli Egizi, i Fenici ed altri popoli pagani?

D’altronde, la data esatta della nascita di Cristo non è mai stata molto sicura. Ciò è stato eccezionalmente confermato da Papa Giovanni Paolo II in occasione del Natale 1993; la data del 25 dicembre quale ricorrenza della nascita di Cristo è convenzionale, non essendo certa la data della sua nascita. Nei primi tre secoli la Chiesa oltre alla celebrazione settimanale e a quella annuale della Pasqua non celebrava alcuna altra festa. La festa del Natale apparve per la prima volta nel Cronografo del 354, “il calendario civile e religioso” del tempo. Alcune antiche sette cristiane ritenevano, per esempio, che fosse avvenuta in primavera e solo nel quarto secolo; riconosciuta la natura divina del Figlio, e che la sua divinità prendesse inizio dal momento della nascita, Papa Giulio I fissò il 25 dicembre come la data più esatta per celebrare l’anniversario del Redentore.

Le ragioni di tale indipendenza della celebrazione di queste festività dalla nascita del Bambino Gesù sono da un lato astronomiche e dall’altro psicologiche. Da un punto di vista astronomico questo periodo di dicembre, per l’esattezza il giorno 21, coincide con il solstizio d’inverno, un momento dell’anno in cui il sole sembra “arrestarsi” nel suo cammino, quasi a morire, per poi riprendere a “girare” attorno alla Terra. In questo periodo difatti il 25 dicembre si celebrava, prima di Cristo, la festa pagana del “Sole Invitto”, quella cioè del sole che risulta vincitore della guerra contro le tenebre. L’individuo moderno difficilmente può raffigurarsi quale intensa emozione e quale sgomento emergesse nell’animo del primitivo alla vista di una così particolare condizione astronomica. Ancora oggi, peraltro, possiamo notare noi stessi qualche residuo di questa condizione primitiva durante le eclissi solari in cui ci sentiamo “più nervosi”. Probabilmente quando l’essere umano si accorse che quella “stasi” del sole – per la quale aveva temuto che la vita sulla terra dovesse finire e che gli aveva procurato tanto terrore – era solo temporanea, deve aver provato una rinnovata fiducia nella vita ed aver festeggiato l’avvenimento. L’esplosione di tale gioia era motivata anche dal fatto che il suo terrore non era solo di natura esistenziale, ma soprattutto di natura metafisica. Il sole infatti, che tutto illumina e protegge, è il simbolo più comune della divinità. È chiaro dunque che l’apparente stasi solare rappresentava per i primitivi la morte del Dio, il quale li abbandonava così al loro destino. Il proseguire successivo del “cammino” del sole all’orizzonte significava allora, soprattutto, la rinascita della divinità che continuava in tal modo a proteggere i suoi figli. Ecco perché sia il Sole che Dio alla fine di dicembre si festeggiano in differenti culture e religioni celebrando la nascita della Divinità.

Lo scopo di scambiarsi gli auguri di Natale è evidentemente quello di infondere coraggio, di suggerire una sicurezza psicologica secondo delle idee a sfondo magico, che sono tipiche del bambino che crede nell’onnipotenza dei propri pensieri, perché vede che i propri desideri tendono ad essere esauditi dai propri genitori ( Jekels, 1936). Gli individui augurandosi il buon Natale, inconsapevolmente si rassicurano delle ansie dei loro progenitori. Così anche noi come i Re magi ci doniamo reciprocamente ori, profumi e balsami in funzione rassicurante. Anche i Re magi portano con sé una storia densa di significati: nella Bibbia di Re Giacomo, i magi sono indicati come Uomini Saggi, un termine utilizzato per indicare i maghi o magi con il carattere di filosofi, scienziati e personaggi importanti. I ( tre) Re magi vennero quindi così chiamati non tanto per le loro arti magiche, quanto piuttosto per le loro competenze astrologiche ( non a caso, nella tradizione, i Re magi giungono da Gesù Bambino guidati proprio da una stella).

I regali di cibo sotto forma di panettoni e cesti di frutta, caramelle e cioccolatini ed i grandi pranzi di questi periodi sono la traccia di quando, 100 secoli prima di Cristo, iniziammo ad essere agricoltori e a risparmiare i raccolti per l’inverno. Ora dopo il solstizio, quando l’inverno è al suo culmine e le giornate si fanno più lunghe, potevamo e possiamo dar fondo alle nostre scorte con una bella festa, soprattutto alimentare. “Tanti auguri!”. Il sole sorgerà ancora, la vita continuerà, Dio – la luce – è rinato un’altra volta e non ci abbandonerà!

L’influenza socioculturale è presente in altri aspetti della Natività. La Madonna e Gesù ( soprattutto da adulto) appaiono nell’iconografia classica di carnagione chiara e biondi: circostanza francamente piuttosto difficile per due palestinesi. L’albero decorato e Babbo Natale si stanno imponendo nella nostra cultura soppiantando così il Presepe e Gesù Bambino. L’albero di Natale deriva storicamente dal fatto che i missionari riuscirono a convincere i Germani che adoravano la quercia come residenza dei loro Dei, quantomeno ad adorare l’abete, che con la sua forma a triangolo aveva in cima il Padre, agli angoli in basso il Figlio e lo Spirito Santo. All’origine dell’albero natalizio ci sono gli antichissimi usi, tipici di varie culture, di adorare o avere alberi sacri, come gli Alberi del Paradiso con nastri e oggetti colorati, fiaccole, piccole campane e la credenza che le luci che li illuminavano corrispondessero ad altrettante anime. Con l’avvento del Cristianesimo, l’uso dell’albero di Natale si affermò anche nelle tradizioni cristiane, anche se la Chiesa dalle origini ne vietò l’uso sostituendolo con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo. Successivamente nel Natale del 1840 il principe Alberto, mari- to della regina Vittoria, installò un albero decorato, secondo l’uso germanico, nel castello di Windsor. La moda si sparse per tutta l’Inghilterra e poi per tutta Europa. Negli Stati Uniti era già presente al seguito degli emigrati tedeschi.

Babbo Natale è una fusione della leggenda di “Sinterklaas” e di quella di “Old Winter” che in Finlandia girava su una slitta trainata da renne dispensando doni e punizioni. Tutte le versioni del Babbo Natale moderno traggono origine dal medesimo personaggio storico, San Nicola, vescovo di Myra ( oggi Demre, situata in Turchia) di cui si narra che ritrovò e riportò in vita tre fanciulli, rapiti e uccisi da un oste, e per questo è considerato il protettore dell’infanzia. Prima della conversione al cristianesimo, il folcrore dei popoli germanici narrava che il dio Odino ogni anno tenesse una battuta di caccia nel periodo del solstizio invernale: i bambini erano soliti lasciare i propri stivali nei pressi del caminetto riempiendoli di carote, paglia o zucchero per sfamare il cavallo volante del dio che, come ricompensa, sostituiva il cibo con regali o dolciumi. Questa pratica è sopravvissuta nei Paesi Bassi, associata alla figura di San Nicola, che viene festeggiato il 5 dicembre con la distribuzione di alcuni doni; in Polonia, Belgio, Lussemburgo e Francia del Nord viene festeggiato il giorno successivo. Anche in Italia, specialmente a Bari, viene festeggiato, il 6 dicembre, San Nicola: una festa per eccellenza, tripudio di colori, giostre, cibi tipici e tradizionali da preparare e assaporare rigorosamente in quei giorni.

Sinterklaas venne poi storpiato in “Santa Claus” in inglese negli Stati Uniti, quando la leggenda fu ivi esportata dagli emigranti. Santa Claus era vestito di pelle o pellicce di colore verde o celeste, aveva la pipa in bocca e una bottiglia di alcol in mano. La prima “apparizione” di Babbo Natale risale ad una poesia del 1823 di Clement Clarke Moore intitolata “Una visita di San Nicola”, in cui per la prima volta Santa Claus viene raffigurato come un buffo signore dalla pancia rotonda e dalle guance rubiconde che plana sopra i tetti a bordo di una slitta e scende dal camino con un sacco di regali in spalla. Successivamente, nel 1843 John Leech illustra lo Spirito del Natale Presente che appare a Scrooge nel Canto di Natale di Charles Dickens come un gigante con la barba lunga che indossa una cappa di stoffa verde orlata di una pelliccia bianca. Nel 1863, Thomas Nast rappresentò in una vignetta pubblicata da Harper’s Bazaar Santa Claus come lo conosciamo oggi, con la lunga barba bianca e l’abito rosso, ma la consacrazione definitiva del suo look attuale è un’invenzione del nostro tempo creata dal disegnatore Harold Sundblom nel 1931 per la pubblicità della Coca Cola. I suoi colori bianco e rosso sono, infatti, quelli del marchio della più famosa bibita non alcolica del mondo.

CHANNUKKÀ, LA FESTA DELLE LUCI A BERLINO

il Channukkà ebraico

IL MONDO EBRAICO CELEBRA IN QUESTO PERIODO UNA FESTA CARICA DI SIGNIFICATO: IL CHANNUKKÀ O “FESTA DELLE LUCI”, CHE DURA OTTO GIORNI ( QUEST’ANNO DAL 10 AL 18 DICEMBRE), E RICORDA LA RICONQUISTA DEL TEMPIO DI GERUSALEMME, PROFANATO NEL 167 A. C.

IN QUESTO PERIODO I BAMBINI RICEVONO REGALI E SOLDI PREMIO PER AVER STUDIATO LA TORAH

i festeggiamenti per il sole invitto

IL 21 DICEMBRE COINCIDE CON IL SOLSTIZIO D’INVERNO, UN MOMENTO DELL’ANNO IN CUI IL SOLE SEMBRA “ARRESTARSI” NEL SUO CAMMINO, QUASI A MORIRE, PER POI RIPRENDERE A “GIRARE” ATTORNO ALLA TERRA. IN QUESTO PERIODO DIFATTI IL 25 DICEMBRE SI CELEBRAVA, PRIMA DI CRISTO, LA FESTA PAGANA DEL “SOLE INVITTO”, QUELLA CIOÈ DEL SOLE CHE RISULTA VINCITORE DELLA GUERRA CONTRO LE TENEBRE