Le recenti affermazioni di Nino Di Matteo sulla mancata nomina a capo del Dap da parte di Alfonso Bonafede potrebbero costare all’ex pm antimafia l’apertura di un procedimento disciplinare. Il decreto legislativo 109 del 2006, "Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati”, nel richiamare il magistrato al rispetto dei doveri di “imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetto della dignità della persona” nell'esercizio delle funzioni e al di fuori di esse, vieta “comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell'istituzione giudiziaria”. Il codice etico dell’Anm, poi, sottolinea che il magistrato debba avere una corretta “interlocuzione” con la stampa, evitando una sovraesposizione mediatica, il “protagonismo”, ovvero la “costituzione o l'utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati” con i media in relazione all’attività del proprio ufficio. Pur mantenendo fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato deve ispirarsi “a criteri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa”. I precedenti specifici non mancano. Come non ricordare, ad esempio, la vicenda dell’ex gip di Milano Clementina Forleo che era intervenuta alla trasmissione Annozero di Michele Santoro segnalando “sottili pressioni” da parte di “poteri forti” durante l'inchiesta Bnl-Unipol e lamentando l'isolamento dei colleghi? Nei confronti della magistrata venne immediatamente aperto un procedimento disciplinare, poi conclusosi con una archiviazione, ed avviata una pratica di trasferimento da Milano per incompatibilità ambientale. Il potere disciplinare spetta al procuratore generale della Corte di Cassazione e al ministro della Giustizia. Mentre quest’ultimo ha “facoltà” di promuovere l’azione disciplinare, il pg della Cassazione ha “l’obbligo” di esercitarla. Difficile, comunque, visti i richiami da più parti a Bonafede e Di Matteo di “chiarire” l’accaduto che il Guardasigilli possa procedere. Potrebbero, invece, essere gli stessi consiglieri del Csm a “sollecitare” il pg della Cassazione. I laici in quota 5s hanno preso le distanze dal pm antimafia. Un comportamento che è stato stigmatizzato dal togato di Autonomia&indipendenza, la corrente con cui è stato eletto al Csm Di Matteo, Sebastiano Ardita.I consiglieri del Csm, per la cronaca, godono della stesse guarentigie dei parlamentari, non essendo “punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione”. Il vice presidente del Csm David Ermini ha scelto la strada del silenzio. L’ex responsabile giustizia del Pd non ha intenzione di essere trascinato nelle polemiche che contraddistinguono questa burroscosa consiliatura. Ma quando ci sono di mezzo i magistrati il low profile non è mai facile.