La vicenda delle accuse di connivenza con i boss mafiosi rivolte al Partito Democratico non può più rimanere nel perimetro della dialettica parlamentare. Deve coinvolgere la presidente del consiglio, Giorgia Meloni. Questa la linea del Partito Democratico nel momento in cui il caso Cospito si arricchisce di un nuovo capitolo: ovvero, “l'inchino ai boss mafiosi” detenuti nel carcere di Sassari.

In una intervista al quotidiano Il Biellese, infatti, Delmastro dichiara che Cospito avrebbe chiesto ai dem di parlare anche con i boss mafiosi al 41 bis e che i dem avrebbero accettato di “inchinarsi”. Una ricostruzione alla quale il Partito Democratico risponde con veemenza. Prima con i comunicati e l'annuncio di querele. Poi con un'assemblea dei gruppi parlamentari convocata con urgenza, seppure da remoto. Infine con una mozione di censura nei confronti del sottosegretario Andrea Delmastro, depositata in queste ore. Si tratta di uno strumento parlamentare in tutto simile a quello della mozione di sfiducia che si applica ai ministri e che porta alle loro dimissioni immediatamente dopo il voto. Nel caso dei sottosegretari, invece, la mozione di censura impegna il ministro competente, in questo caso Matteo Piantedosi, a sollevare il sottosegretario dall'incarico. Ma è soprattutto la risposta parlamentare che i dem stanno limando in queste ore. Alla Camera, spiegano, è già stata depositata una mozione di sfiducia nei confronti di Delmastro. Ora, c'è da decidere se salire sull'Aventino oppure continuare a partecipare ai lavori parlamentari che terranno occupate le Aule delle Camere a partire da dopo le elezioni regionali. Prima fra tutte, la bozza Calderoli sull'Autonomia differenziata.

“L'Aventino non è una pratica che ci appartiene”, viene spiegato dai gruppi parlamentari Pd: “Dobbiamo insistere sul merito: come comportarci di fronte al fatto che Fratelli d'Italia continua a martellare contro di noi paragonandoci ai mafiosi?”, è il ragionamento che si fa in assemblea. Ieri i dem non hanno partecipato ai lavori del Senato, salvo rientrare in Aula quando l'esponente di Fratelli d'Italia, Alberto Balboni, ha rettificato la sua frase circa una “voragine aperta alla mafia”. Ora, di fronte al nuovo siluro arrivato dal partito di Meloni, i dem si attendono una presa di posizione da parte delle alte cariche dello Stato non escludendo, se una risposta non arrivasse in tempi brevi, di appellarsi anche al Capo dello Stato. L'evocazione dell'Aventino da parte dei parlamentari Pd non è, d'altra parte, casuale: fra i dem si diffonde sempre più l'idea che si stia cercando di delegittimare l'opposizione, proprio come durante il ventennio.

Un parallelismo che fa Arturo Scotto, prima, ed Elly Schlein, subito dopo: “Mai visto un partito al potere invocare le dimissioni di parlamentari d'opposizione, accostandoli a mafia e terrorismo. C'è solo un precedente: il ventennio. Quando i fascisti usavano manganello e olio di ricino. Fdi si comporta come erede legittimo. Oggi a parole, domani chissà”, dice Scotto. E Schlein rincara: “E' di una gravità inaudita, sono metodi squadristi ai quali ci opporremo. Queste persone si devono dimettere e trovo surreale che la presidente del Consiglio non si sia ancora espressa su questo”.

Dunque, deve essere Giorgia Meloni - oggi a Stoccolma per incontrare il primo ministro svedese Ulf Kristersson - a prendere una posizione netta su questa vicenda. “Il punto è coinvolgere la premier e i presidenti delle Camere”, spiega un senatore dem mentre l'assemblea dei gruppi è ancora in corso.

A chiamare in causa Meloni e i presidenti di Camera e Senato è, primo fra tutti, il senatore Dario Parrini: “In tali circostanze la premier Meloni dovrebbe parlare e agire invece di tacere restando passiva. E i presidenti di Camera e Senato dovrebbero adoperarsi per tutelare in maniera risoluta la dignità del Parlamento”. Alla base della scelta di non prendere posizione adottata dalla seconda e terza carica dello Stato e dalla premier ci sarebbe la volontà di coprire le “gravi responsabilità di Delmastro e Donzelli” che, in Aula alla Camera, hanno divulgato informazioni riservate. Questa la posizione che si ricava dal Nazareno: “Gli uomini della Meloni continuano a diffamare il Pd. Lo fanno per nascondere le gravissime responsabilità di Delmastro e Donzelli che hanno divulgato informazioni sensibili e riservate. Lascino i propri incarichi perché hanno dimostrato di non esserne all'altezza e, se non lo fanno loro, glielo faccia fare Giorgia Meloni, che non può continuare a coprire questi comportamenti”. Parallelamente a questo, il Pd porterà avanti le azioni giudiziarie “a tutela dell'onorabilità dei suoi parlamentari”. 

Intanto, dopo la richiesta fatta da alcuni deputati del Pd, il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, “ha nominato una commissione di indagine che giudichi la fondatezza delle accuse loro mosse in Aula dal deputato di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli” in relazione alla visita in carcere ad Alfredo Cospito. Il giurì, che dovrà riferire alla Camera entro il 10 marzo, è presieduto da Sergio Costa, e composta da Fabrizio Cecchetti, Annarita Patriarca, Roberto Giachetti e Alessandro Colucci.