La morte violenta di Giulia Tramontano ha scatenato le polemiche nelle piazza mediatiche dei social e il dibattito tra gli avvocati. Il motivo? Il diritto di difesa garantito anche ad Alessandro Impagnatiello, reo confesso dell’omicidio. Vincenzo Comi, penalista e Consigliere dell’Ordine di Roma non usa giri di parole. «Anche Impagnatiello – afferma - ha diritto a un avvocato. Anche chi è accusato dei peggiori crimini anche quando il fatto ci sconvolge la coscienza e ci turba l’animo nel più profondo come esseri umani non dobbiamo mai dimenticare che a differenza del criminale uno Stato agisce nel rispetto della legge. È questo che rende legale l’accertamento di un fatto e la responsabilità di chi ha agito illegalmente e ci assicura la democrazia e lo stato di diritto. L’avvocato non è un complice, non abbraccia la causa, ma garantisce a tutti, e dico tutti, il diritto costituzionale alla difesa, affinché il processo sia celebrato nel rispetto delle regole».

Il professor Vincenzo Vincenzo Maiello, ordinario di Diritto penale nell’Università di Napoli “Federico II”, non nasconde la preoccupazione rispetto alle “manifestazioni di intolleranza” che ciclicamente si ripresentano. «Un avvocato – dice al Dubbio l’insigne penalista - assume la difesa di una persona che ha confessato un delitto terribile e contro di lui si scatena l’odio sociale. Siamo alle solite. Purtroppo, nella storia del diritto di difesa le manifestazioni di intolleranza che additano l’avvocato come essere spregevole, socialmente insopportabile, perché complice del delinquente e nemico della giustizia e degli onesti, costituisce un diffuso dejavù». La deriva giustizialista è quanto di più pericoloso, secondo Maiello. «Da qualche tempo – riflette -, nel nostro Paese, si sta assistendo ad una recrudescenza dell’intolleranza e del fanatismo punitivista, che si esprime anche in forme di scomunica istituzionale nei confronti di chi, in nome della cultura del garantismo, se ne fa paladino in rapporto a vicende scomode. Penso che dietro tutto questo ci sia la sconcertante distanza che passa tra la cultura sociale dominante e la cultura costituzionale dei diritti».

Richiama alcuni fatti della storia dell’avvocatura Claudio Strata del Foro di Torino. «Il problema dell’identificazione – evidenzia -, anzi della confusione, nel vero senso della parola, tra avvocato e cliente si ripresenta puntualissimo ogni volta che viene commesso un reato odioso, efferato. Anche se per la verità la domanda fatidica, “ma come fai a difendere l’indifendibile?”, la pongono un po' tutti i non addetti ai lavori, compresi quelli in totale buona fede e che pongono la domanda solo per curiosità. Persino i ragazzi molto, ma molto giovani e ancora “innocenti” chiedono: “ma se sai che è colpevole, perché lo difendi e come fai a difenderlo”? Ho sempre spiegato con calma e senza provocazioni che non ci può essere un processo penale senza un avvocato anche se, va detto, a qualche giudice ogni tanto farebbe piacere. Lo dico senza voler sollevare polemiche o altri polveroni. Ci hanno provato le brigate rosse a ricusare i difensori di fiducia e di ufficio e fare in modo che il tristemente noto processo di Torino si paralizzasse o che si celebrasse senza avvocati, che loro non volevano riconoscere: ciò che portò al sacrificio

del presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino, Fulvio Croce, trucidato sotto al suo studio per non aver abdicato al proprio ruolo. Anche in quel caso la presenza della difesa tecnica risultò inderogabile e irrinunciabile e l’unica conforme alla Costituzione».

Secondo Mario Scialla, penalista e coordinatore dell’Organismo congressuale forense, «la demonizzazione dell’avvocato che assume difese scomode è una barbarie». «Purtroppo – dice Scialla -, il fenomeno della assimilazione tra difensore e assistito è sempre più ricorrente. Quando c’è la demonizzazione dell’avvocato io credo che occorra riflettere seriamente. Le istituzioni e gli organismi di rappresentanza dell’avvocatura è bene che intervengano sempre. Stiamo combattendo contro l’ignoranza. Gli avvocati fanno chiarezza su tante situazioni in cui domina la violenza non solo verbale. Bisogna riflettere e far riflettere sulla irrinunciabilità della difesa tecnica, come ci insegna pure la Corte Costituzionale. Ogni cittadino ha il diritto ad essere difeso ed è dovere dello Stato difendere chiunque, anche il soggetto cosiddetto indifendibile». La Costituzione, come rileva l’avvocato Augusto Conte del Foro di Brindisi, è il nostro punto di riferimento. «L'attività difensiva – afferma - è connaturata al valore supremo del nostro ordinamento giuridico costituito dal valore della giustizia, supremo principio, realizzabile solo se vi è l'esercizio del diritto di difesa garantito dall'articolo 24 della Costituzione. Il “valore della giustizia” non sarebbe rilevante costituzionalmente se non come “strumento di difesa”. L'esercizio del diritto di difesa è ontologicamente e strutturalmente collegato alla funzione giurisdizionale. L'attività giurisdizionale segue due linee conduttrici: una è l'applicazione della legge, l'altra la difesa del cittadino davanti agli organi giurisdizionali. Per conseguenza la funzione giurisdizionale non sarà esercitata correttamente secondo i dettami della Costituzione se nell'esercizio di tale funzione non si inserisca il diritto di difesa».

Guido Stampanoni Bassi, avvocato del Foro di Milano e direttore della rivista Giurisprudenza penale si sofferma sulla morbosità di alcuni particolari riferiti dagli organi di informazione. «La narrazione della tragica vicenda di Senago – commenta -, oltre ad averci rifilato inutili e macabri dettagli utili solo a stuzzicare l’attenzione dell’opinione pubblica, ci ha fatto assistere all’ormai consueto attacco alla funzione difensiva. Non è la prima volta e sicuramente non sarà l’ultima e, purtroppo, torneremo presto a meravigliarci di come sia ancora possibile identificare l’avvocato con il crimine contestato all’assistito e non comprendere che non può esserci Stato di diritto senza diritto di difesa».