Sono passati quasi tre anni da quel giugno 2021 in cui il Parlamento italiano, con un voto quasi unanime, accogliendo con ritardo una direttiva europea del 2016, votò per il riconoscimento della presunzione di innocenza. E perché ogni inquirente, nel momento degli arresti, rispettasse, con le parole e con gli atti, il principio della non colpevolezza degli indagati fino alla sentenza definitiva.

Quel che dice la nostra Costituzione all’articolo 27 e che viene costantemente calpestato, senza che nessun organo di controllo, a partire da quello che riguarda i magistrati, cioè il Csm, sia mai intervenuto. Così, un po’ per caso, due giorni fa a Montecitorio dalle parole del sottosegretario Andrea Delmastro delle Vedove che rispondeva all’interrogazione del deputato Enrico Costa, si è scoperto che qualche monitoraggio il ministero lo sta facendo. Routine? Scelte a campione? Non è chiarissimo, ma poco importa. L’importante è che, pur nel corso di controlli periodici e non mirati, la voce “presunzione di non colpevolezza” esista. I distretti giudiziari selezionati sono 13. Tra questi c’è la procura di Catanzaro, la cui giurisprudenza negli ultimi anni è stata più nota di altre per via del suo principale personaggio, il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, da pochi mesi promosso a dirigere un ufficio di ben altro rango, essendo la procura di Napoli la più grande d’Europa.

La direttiva europea e il suo recepimento nel nostro ordinamento accendeva un faro soprattutto sul divieto-invito agli inquirenti e alle forza di polizia di presentare la persona arrestata come già colpevole. Per esempio, non si dovrebbe mai scrivere che un certo avvocato è la cerniera tra la mafia e la società civile, o che quel tal imprenditore è diventato complice della criminalità organizzata perché ha pagato il pizzo. Non si può, ma si fa.

Il procuratore Gratteri ha sempre criticato quella decisione del Parlamento, come del resto tutta quanta la riforma della ministra Cartabia, che in quei giorni si era molto adoperata, limando e trattando, per ottenere quella sostanziale unanimità di votazione. Un altro punto della riforma con cui l’Italia si era finalmente adeguata alla civiltà europea era quello che riguardava la comunicazione. La gestisca il capo dell’ufficio, dice la riforma Cartabia, limitando le conferenze stampa a situazioni di particolare importanza e gravità. Il procuratore Gratteri aveva esercitato una sorta di resistenza passiva, annunciando ai giornalisti ogni blitz con espressioni del tipo “oggi abbiamo arrestato 62 presunti innocenti”.

Ma a parte le esibizioni di questo magistrato, che quanto meno non può essere accusato di ipocrisia, che cosa sappiamo dell’applicazione delle riforme Cartabia? Ci sono stati controlli da parte degli ispettori del ministero? Fino a due giorni fa un poco tranquillizzante silenzio ha avvolto i comportamenti di tutte le procure italiane. E soprattutto è improvvisamente emerso un punto della riforma che era parso secondario, il modo subdolo per alludere alla colpevolezza degli arrestati senza nominare la parola. Parliamo di quell’abitudine di denominare le inchieste e i blitz con una terminologia di fantasia, ma molto esplicita e allusiva. Il deputato Costa in aula ha citato l’inchiesta milanese “Banda bassotti”, cui potremmo aggiungere, per restare al capoluogo lombardo, quella chiamata “Mensa dei poveri”.

Ma occorre tornare alla Calabria del procuratore Gratteri per attribuire il premio della fantasia. Fantasia, attribuibile alle forze dell’ordine o alla magistratura, che non ha cessato di scatenarsi anche dopo l’entrata in vigore delle riforme Cartabia. Prendiamo per esempio il blitz chiamato “Reset” del settembre 2022, con 139 arrestati condotti in carcere, 51 posti ai domiciliari e 12 con l’obbligo di dimora. Che cosa vuol dire “Reset”? Vuol dire cricca, vuol dire affari e imbrogli organizzati in modo, appunto, sistematico. Vuol dire colpevolezza degli indagati. Ma c’è di più. Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Alfredo Ferraro è costretto a ricordare che quell’inchiesta è il frutto di una serie di altre che il procuratore Gratteri ha voluto unificare. E che si chiamano: Garden, Missing, Squarcio, Tamburo, Twister, Terminator 2, Terminator 4, Anaconda, Magnete, Telesis, Vulpes, Acheruntia, Nuova Famiglia, Doomsday, Drustore, Apocalisse, Job center. È sufficiente? Ancora no.

Perché ancora nel giugno 2023 la procura di Catanzaro lanciava l’operazione “Glicine Acheronte”, e ancora in settembre, alla vigilia della partenza del procuratore Gratteri per Napoli, il maxi-blitz con 84 arresti, i soliti “presunti innocenti”, un’inchiesta che ha assunto il nome di “Maestrale-Carthago”. Sempre nomignoli allusivi quando non offensivi, ritagliati appositamente per costruire addosso agli arrestati il vestito della colpevolezza e del disdoro pubblico. E poco importa quali saranno in seguito, fra qualche anno, le sentenze, perché il principio di non colpevolezza previsto dall’articolo 27 della Costituzione vale in quel momento, quello delle prime indagini e fino alla sentenza definitiva.

Ma basterebbe andare con la memoria agli ultimi anni passati per ricordare come sono finite le inchieste chiamate “Sidaro”, piuttosto che “Circolo formato” o “Jonica agrumi”. E che dire dell’operazione “Stige”, e di “Nemea” e “Borderland”? E “Farmabusiness”, con l’assoluzione dell’ex presidente della Regione Calabria Mimmo Tallini. E poi “Lande desolate”, con il non luogo a procedere di due significativi esponenti del Pd calabrese come Nicola Adamo e l’ex deputata Enza Bruno Bossio, e l’assoluzione dell’ex presidente della Regione Mario Oliverio. Nei cui confronti la Cassazione aveva parlato di “chiaro pregiudizio accusatorio”. Per non parlare dell’operazione “Basso profilo” e dello scandaloso coinvolgimento del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa.

Bene, cari ispettori del ministero, un po’ di materiale su cui lavorare non manca, a Catanzaro come probabilmente in tante altre procure.