Un anno dopo l’avvio dell’iter, il Csm porta a termine la nuova circolare sull’organizzazione delle procure. Un lavoro necessario alla luce della riforma Cartabia, che ha procedimentalizzato anche l’approvazione dei progetti organizzativi, prevedendo un parere del Csm, e basato su una riflessione condivisa con i procuratori e i sostituti impegnati nell’applicazione delle recenti modifiche normative. Il tentativo della settima commissione ( relatori Marco Bisogni, Roberto Fontana, Eligio Paolini e Maurizio Carbone) - che porterà la pratica in plenum il 26 giugno - è stato quello di attentuare l’autoreferenzialità del procuratore capo e di uscire dalla logica della contrapposizione, privilegiando una visione unitaria dell’ufficio con una forte partecipazione di tutti alla determinazione delle scelte fondamentali. Un lavoro corale, dunque, per ammorbidire il ruolo del procuratore “monarca” più volte stigmatizzato anche da alcuni membri del Csm. Ma si tratta anche di un tentativo di omogeneizzazione della giurisdizione, mentre a livello legislativo si discute di separazione delle carriere. La novità più importante deriva direttamente dalla riforma Cartabia, con la scelta di estendere alle procure il procedimento tabellare previsto prima solo per gli uffici giudicanti. Stando alla nuova circolare, i progetti organizzativi devono essere elaborati nell’ambito di un procedimento a cui partecipano tutti i magistrati dell’ufficio con i contributi anche del presidente del tribunale e del consiglio dell’ordine degli avvocati, progetti soggetti all’esame, unitamente alle relative osservazioni, del consiglio giudiziario e che devono poi essere approvati dal Csm. Il documento, lungo 288 pagine, individua i principi generali per l’organizzazione degli uffici requirenti, rappresentati dalla correttezza, la puntualità e l’uniformità dell’esercizio dell’azione penale, nel rispetto delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato ed alle norme sul giusto processo; l’imparzialità, la trasparenza, la tempestività, l’efficacia, la funzionalità e l’uniformità dell’attività dell’ufficio, nelle materie e nei settori di competenza; il rispetto dei termini di durata delle indagini preliminari, la loro completezza, anche con riferimento alla ricerca degli elementi a favore della persona sottoposta alle indagini ( cosa già prevista dalla fonte primaria); il rispetto di standard probatori ispirati al criterio della ragionevole previsione di condanna - previsto dalla riforma Cartabia -; la garanzia di uguali e uniformi condizioni di accesso alle modalità di definizione alternativa del procedimento nella fase delle indagini preliminari, nonché ai riti semplificati a seguito dell’esercizio dell’azione penale; l’interlocuzione funzionale, tempestiva e trasparente con i difensori e con l’utenza. L’articolo più atteso era quello relativo al ruolo del procuratore, diventato con la riforma del 2006 un vero monarca, andando a incrinare il principio di primus inter pares sancito dall’articolo 107 della Costituzione.

Sebbene l’idea del legislatore fosse quello di attribuire al procuratore poteri giustificati nella misura in cui effettivamente concorrano a connotare nel senso dell’impersonalità l’ufficio di Procura, più volte si è discusso - anche in seno al Csm - di un’eccessiva personalizzazione della funzione requirente in capo al titolare dell’ufficio stesso. La nuova circolare, elaborata dalla Settima Commissione, cerca un punto di equilibrio nella elaborazione dei principi e dei criteri generali a cui deve essere uniformata l’azione dell’ufficio requirente. Tale potere, dunque, verrebbe “smorzato” a valle, con «uno specifico momento partecipativo, rappresentato dalle apposite riunioni con i procuratori aggiunti, i magistrati di ogni singolo gruppo o dell’ufficio e dai contributi del servizio studi, nonché tenendo conto delle indicazioni emerse in tali sedi di confronto». Si tratta di una fase consultiva «non vincolante», ma comporta per il procuratore «lo specifico onere di attivarla e di tenere conto delle indicazioni che da essa provengono. In tal modo, si è inteso prevedere un concreto momento di partecipazione attiva nella pianificazione strategica dell’ufficio, onde colmare un vulnus riscontrato nella circolare previgente che, se da un lato, enunciava all’art. 2 - tra i principi a cui il procuratore deve attenersi nell’organizzazione dell’ufficio - anche quelli di “partecipazione e leale collaborazione”, dall’altro, all’art. 46, escludeva espressamente, tra le norme di rinvio della circolare tabelle, quella di cui all’art. 260, dotata di preminente rilievo proprio sul piano partecipativo». In altre parole, «si è attribuito uno specifico spazio partecipativo agli altri magistrati, senza per questo erodere il potere direttivo del procuratore, facendone convivere le rispettive prerogative nel contesto di un rinnovato assetto d’ispirazione tabellare». Il risvolto positivo, secondo il Csm, sarebbe anche di tipo motivazionale, in un certo senso: i magistrati saranno infatti chiamati ad attenersi «a modelli che in qualche modo hanno concorso ad elaborare», consapevolezza che dovrebbe fungere «da stimolo a un più consapevole e responsabile esercizio della delicata funzione requirente». Ma assumono rilievo «anche le necessarie interlocuzioni con l’avvocatura e le altre istituzioni interessate dall’attività dell’ufficio, nell’ottica di un approccio organizzativo improntato a una visione non più autoreferenziale dell’ufficio, che riconosca il dovuto peso consultivo alla classe forense».