I presunti accessi abusivi alla banca dati della Direzione nazionale antimafia hanno creato stupore e irritazione nel mondo politico come in quello dell’informazione. A impressionare è soprattutto la mole sterminata di informazioni comodamente reperibili dal desk di un ufficio: giudiziarie, bancarie, tributarie, di polizia e aziendali. Ma in pochi, nel bailamme della polemica strumentale, si sono davvero chiesti come sia possibile che tutti quei dati - spesso attinenti a episodi che poco hanno a che vedere con la criminalità organizzata - confluiscano all’interno di banche dati consultabili dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.

La “rivoluzione”, da un punto di vista investigativo, ha una data: 21 aprile 2015. È questo il giorno in cui entra in vigore il decreto legge numero 7 del 18 febbraio dello stesso anno. Oggetto delle nuove norme: misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale. Da questo momento in poi l’Antimafia si occuperà ufficialmente anche di antiterrorismo, fino a cambiare denominazione, e dai suoi uffici si potrà accedere a una quantità spaventosa di informazioni provenienti da ogni procura italiana.

Il decreto è fortemente voluto dal governo. A Palazzo Chigi, in quel momento, siede Matteo Renzi, che oggi si scaglia contro i presunti dossieraggi. Il ministro della Giustizia è Andrea Orlando, il cui capo di gabinetto è Giovanni Melillo, oggi procuratore nazionale antimafia. Il decreto interviene sul codice penale e sul codice di procedura penale. Il comma 2bis dell’articolo 117 del cpp viene riscritto così: «Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nell'ambito delle funzioni previste dall'articolo 371-bis accede al registro delle notizie di reato, al registro di cui all'articolo 81 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché a tutti gli altri registri relativi al procedimento penale e al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo accede, altresì, alle banche di dati logiche dedicate alle procure distrettuali e realizzate nell'ambito della banca di dati condivisa della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo». Da questo momento in poi, dunque, Via Giulia può conoscere in maniera diretta qualsiasi attività di indagine, di qualsiasi natura, proveniente da qualsiasi procura italiana. Basta collegarsi a un computer, ovviamente in maniera tracciata, e accedere al registro degli indagati di qualsiasi distretto italiano.

L’enorme nuovo potere in mano alla Pna è giustificato dalle contingenze di quella fase storica: il 7 gennaio del 2015, ad esempio, un commando di Al Qaida fa irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, “colpevole” di aver pubblicato vignette dissacranti su Maometto, e assassina dodici persone. Diventa quindi necessario creare un canale di coordinamento investigativo, gestito dall’Antimafia, per vigilare su eventuali cellule anche sul territorio italiano. Tutto, dunque, confluisce in Via Giulia. Anche le informazioni sui reati comuni. «C'è tutto il tema dei reati spia il cui perimetro è molto difficile da definire», spiega al Dubbio l’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, raccontando la ratio di quel provvedimento onnicomprensivo. «Serviva un punto di equilibrio nella trasmissione delle informazioni» dalle singole procure, dice l’ex guardasigilli. «C'è sempre stato un impulso della Procura nazionale antimafia per intervenire in questa direzione. Perché fino a quel momento c’erano realtà che non rispondevano neanche al telefono alla Procura nazionale antimafia», prosegue Orlando. Ogni procuratore era geloso delle proprie indagini e non intendeva cedere un briciolo delle proprie competenze alla Dna. Il governo pensa dunque che la soluzione sia accentrare tutto in Via Giulia per coordinare meglio le investigazioni. «Quello era il senso. Fu un lavoro che fecero all'epoca, neanche a farlo apposta, Melillo e il legislativo».

Il tema della bulimia dei dati e dei possibili abusi non rientrava tra le priorità del governo. All’epoca ogni procura «aveva il suo sistema informatico, c'era un feudalesimo informatico, ognuno si faceva la sua gara sulle intercettazioni e questo, diciamo, provocava esattamente gli stessi problemi a livello locale», secondo Orlando. «Cioè noi adesso ci siamo accorti che ci sono stati 33mila accessi sulla banca dati, ma che cosa succedeva sugli archivi locali? Paradossalmente con l'accentramento aumenta il rischio, aumenta la potenza, ma aumenta anche la controllabilità». Ma resta il fatto che con la scusa dell’antimafia e dell’antiterrorismo Via Giulia scannerizza la vita degli italiani.