Nel 2017 si vota in Europa. A marzo, si vota in Olanda; sono circa una dozzina le formazioni politiche pronte a sfidarsi, ma in realtà sono due i leader che si contendono la vittoria. Da una parte, l’euroscettico e antislamico Geert Wilders; Wilders ha festeggiato l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti come «una rivoluzione», ha detto più volte di essere favorevole a una Nexit ( Netherland exit) e ha chiesto che venga indetto un referendum «il prima possibile». Dall’altra, Mark Rutte, conservatore e primo ministro in carica.

Sempre in primavera si vota in Francia: il primo turno elettorale è fissato per il 23 aprile e in caso di ballottaggio si torna alle urne il 7 maggio.

La destra repubblicana ha già il suo candidato: è François Fillon, che ha battuto Juppé e Sarkozy alle primarie di novembre. Hollande ha deciso di non ripresentarsi, e fra i socialisti si sono già candidati in nove, per le primarie di gennaio, tra cui Manuel Valls e Arnaud Montebourg; Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia di Hollande, ha fondato un suo partito “di centro”. Ma la vera “lepre” è Marine Le Pen che, secondo tutti i sondaggi, dovrebbe passare il primo turno.

Nell’autunno si vota in Germania. Angela Merkel ha annunciato di ricandidarsi. Nel suo annuncio, il 20 novembre, ha definito la prossima elezione «difficile come mai in passato, almeno dalla riunificazione tedesca», invitando a non dare per scontata la sua rielezione – e rispetto i socialdemocratici della Spd e rispetto l’Afd, il partito di estrema destra guidato da Frauke Petry.

Questo è il quadro, e, come si vede, ovunque è possibile che l’estrema destra conquisti le democrazie. D’altronde, se c’è riuscito Trump perché non dovrebbero riuscirci gli altri?

È in questo quadro che l’Isis ha iniziato la sua “campagna elettorale europea”, a Berlino, con un Tir lanciato sulla folla a un mercato di Natale, falciando e ferendo vite. Non è il gesto di un “cane pazzo”, qualcuno che s’è scaricato due video dai siti terroristi, s’è letto qualche risoluzione strategica dell’Isis, gli ha preso caldo alla testa, ha impugnato un’ascia, un coltello, una pistola, è sceso in strada e ha assalito chi capitava. Come già per gli attentati in Francia organizzati dalle cellule belghe, che erano state “ispirate” e organizzate dai territori siriani, credo che ci troveremo davanti a lacrime e dolore non per desiderio di vendetta ma per un preciso “disegno politico”.

Siamo abituati a considerare l’Isis come una masnada di pazzi e assassini, guidati e telecomandati da diaboliche interpretazioni del fondamentalismo islamico di un qualche mullah fuori di testa. Ma la verità è che l’Isis è ormai un soggetto politico, anzi: un soggetto geopolitico.

Qualcuno forse può dubitare che lo scenario mediorientale attuale non sia stato anche “costruito” e “voluto” dall’Isis? L’Isis ha giocato sulle contraddizioni americane, ha giocato sulle contraddizioni tra la Russia e gli Stati Uniti, ha giocato sullo scontro nella campagna elettorale americana tra Clinton e Trump. Oggi, non esiste più una “resistenza siriana” alle truppe di Assad sostenute dai russi – gli americani li hanno abbandonati al loro destino, a Trump non interessa minimamente quello che accade in Medioriente: è vero, i lealisti di Assad ( e i russi) avanzano, ma non c’è altro fuori dall’Isis. E questo significa diventare l’unico serbatoio di futuro reclutamento – la jihad sarà una storia lunga. E farà il proprio gioco nell’anno cruciale elettorale per l’Europa, il 2017.

È un cambio di strategia: non è solo “guerra all’Occidente”, guerra alle democrazie occidentali, ma guerra “dentro l’Occidente” – dentro le contraddizioni politiche delle nostre democrazie.

Un esempio? Quando la Merkel rispose risolutamente che la Germania era pronta a affrontare la crisi siriana e quella delle migrazioni epocali che comportava, l’Isis non solo minacciò di riversare migliaia di profughi “contro” di noi, ma lo fece davvero – costringendo a fissare delle quote, costringendo a patteggiare con i turchi un accordo miserabile, mandando in tilt la Grecia.

L’Europa è un enorme serbatoio di possibile reclutamento per l’Isis. Quanto più le nostre democrazie si mostreranno refrattarie e crudeli contro gli islamici, tanto più, nelle periferie, nelle banlieues abbandonate, tra i profughi accolti e tenuti ai margini, crescerà il disagio, l’isolamento, il folle desiderio di “farcela pagare”.

È musica per le orecchie dei nazionalisti, dell’estrema destra d’Europa: questi predicano contro gli islamici; quelli, i terroristi, predicano contro gli occidentali, gli uni e gli altri considerano le nostre democrazie deboli, corrotte, imbelli.

Fondamentalisti e nazionalisti si muovono in modo speculare ( non c’è alcuna intelligenza col nemico, certo, non è che Marine Le Pen telefona a Raqqa o viceversa): per gli uni sono proprio quegli altri il nemico, ma i destinatari del loro “messaggio politico” sono le proprie “truppe”.

Questa è la tenaglia che può stringere l’Europa – non è che stiano arrivando i turchi sotto le mura di Vienna: nazionalismi contro fondamentalismi. D’altronde tutto questo è già accaduto: durante la “crisi degli ostaggi” a Teheran, l’ayatollah Khomeini fece di tutto perché non si trovasse una qualunque soluzione sotto la presidenza Carter, e solo quando Reagan – che predicava contro “l’asse del Male” – divenne presidente, allora Khomeini sbloccò la cosa, era il “Grande Satana” ma andava bene avere un tale nemico per rafforzare il regime.

Il Gran Califfo dell’Orrore al Baghdadi è stato il più fervido sostenitore della campagna presidenziale di Trump: questo, con quelle sue dichiarazioni contro i musulmani, con gli insulti ai familiari pakistani di un veterano caduto in guerra, con l’insistenza che la strage di San Bernardino fosse opera di fondamentalisti, ha spalancato praterie di reclutamento per l’Isis.

Il candidato dell’Isis per la sua “campagna elettorale europea” in Olanda si chiama Geert Wilders, in Germania si chiama Frauke Petry, in Francia si chiama Marine Le Pen. Auguri per il 2017, Europa.