La struttura processuale delineata nel codice del 1988 presentava solo due distinti modelli operativi in tema di partecipazione alle udienze, anche per i procedimenti in Corte d’Appello: l’udienza pubblica o l’udienza in Camera di consiglio, regolamentata dal codice di rito all’articolo 127 c. p. p., secondo l’originaria formulazione dell’articolo 599 comma 1 c. p. p., schema quest’ultimo che la Relazione al progetto preliminare qualificava come «importante innovazione della legge delega (direttiva 93» n. 81 del 1987, in grado di garantire «la speditezza del rito e di consentire un risparmio di energie in fase di giudizio».

Sistema profondamente in crisi del quale, però, non era facile prevedere un superamento in tempi brevi, sino allo sconvolgimento provocato dal covid. Sino a quando cioè tutto ha subìto trasformazioni tanto repentine quanto radicali per la cogente necessità di “raffreddare la curva dei contagi”: il processo penale – compresi i suoi mezzi d’impugnazione – non poteva restare a guardare. Raccogliendo i frutti di quegli interventi emergenziali, la rinomata riforma Cartabia ha promosso – analogamente a quanto già previsto per il giudizio in Cassazione dal Dl n. 18 del 17 marzo 2020 (convertito nella legge 27 del 24 aprile 2020) e poi dal cosiddetto Dl Ristori 2 ( Dl n. 137 del 28 ottobre 2020, convertito nella legge n. 176 del 18 dicembre 2020) – un contenimento del contraddittorio in Appello mediante l’articolo 23 del Dl 149 del 9 novembre 2020 ( il cosiddetto Dl Ristori bis) che, ai commi da 1 a 6, contemplava una serie di disposizioni per la trattazione e decisione dei giudizi penali impugnatori di secondo grado, la “cartolarizzazione” del giudizio penale.

Ça va sans dire che la diretta conseguenza di questa decisione è stato l’innalzamento della quantità degli interventi scritti, fenomeno che ha portato al naturale scolorimento della indispensabilità della partecipazione in udienza a sostegno dei motivi proposti dalla difesa. Tale partecipazione ad oggi resta comunque consentita con diversi termini a cui attenersi, rispetto alla situazione pandemica: infatti, anziché entro 15 giorni dalla data fissata per l’udienza, la richiesta (irrevocabile) di trattazione orale deve essere presentata a pena di decadenza nel termine di 15 giorni dalla notifica del decreto di citazione di cui all’articolo 601 del codice di rito o dall’avviso della data fissata per il giudizio di appello.

Si è osservato che la disposizione appare ispirata dalla finalità di razionalizzare la celebrazione delle udienze, consentendo così alla Corte di conoscere – già pochi giorni dopo la comunicazione dell’avviso di fissazione del processo – le modalità di svolgimento del medesimo, impiegando al meglio le risorse, sia esse umane sia materiali, laddove venga richiesta la trattazione in presenza.

Nonostante la metamorfosi dell’appello apparisse l’opzione più coerente con le logiche acceleratrici del sistema giudiziario, non si può trascurare come la riforma e il conseguente binomio impugnazioni/ cartolarità si regga su fondamenti particolarmente fragili e precari, poiché basato su un atteggiamento di collaborazione tra imputati e avvocati. Atteggiamento che, per chi esercita la professione, può qualificarsi come improbabile: cosa dovrebbe spingere l’imputato e il suo difensore ad astenersi dal partecipare ai gradi di giudizio? Quale potrebbe essere l’incentivo? Certamente non l’efficienza del sistema giudiziario.

Rileva, anche il tema, sicuramente meno nobile, ma che non può essere trascurato, della rinuncia a una delle voci più remunerative delle tariffe forensi. I protocolli fra le varie Corti d’appello e i relativi Ordini forensi sono chiari: “Si conviene che ai fini della liquidazione del patrocinio a spese dello Stato (analogamente avverrà per la difesa d’ufficio degli irreperibili di fatto o in ulteriori situazioni analoghe) la partecipazione in forma cartolare esplicata con la presentazione di conclusioni scritte viene equiparata alla partecipazione diretta all’udienza”.

Quando però l’onorario non è liquidato dall’autorità, come per i motivi d’appello, le repliche o le memorie, l’assistito ha una percezione “ridimensionata” rispetto alla performance in aula d’udienza. Sono forse considerazioni poco eleganti, ma sono fattori che incidono profondamente sulla buona riuscita di una riforma, soprattutto culturale, la quale impone a ogni parte processuale una rimodulazione del proprio ruolo ovvero una rimodulazione della riforma ove – soprattutto per il processo penale – l’oralità è essenza del rito.