Il “metodo Travaglio” squassa i perimetri del Consiglio regionale ligure, accende i pettegolezzi nel mondo politico genovese e finisce col cascare addosso al suo promotore, Ferruccio Sansa. Che lo stile giornalistico del “Fatto quotidiano” continua a portare nel cuore, anche oggi mentre svolge un ruolo politico all’opposizione del governatore Toti, che lo ha sconfitto alle ultime elezioni. Il “metodo Travaglio” è la sua bandiera, e lui, forse ritenendosi il vero erede di Enrico Berlinguer, è lì a denunciare “la gravissima questione morale in Regione”. Così il politico- giornalista- giustiziere non solo è rimasto isolato in un modello di opposizione che gli stessi esponenti del Pd hanno bollato come “pagliacciata”, ma ha finito col restare vittima di iniziative di altri, improntate al suo stesso metodo. “A furia di continuare a cercare le pagliuzze altrui, gli è cascata addosso la sua trave”, commenta sornione Roberto Bagnasco, oggi deputato di Forza Italia ma con un passato di consigliere regionale in Liguria.

La cadenza è hegeliana: tesi, antitesi e sintesi. Il punto di partenza è un’inchiesta della magistratura genovese su favoreggiamento della prostituzione e cessione di sostanze psicotrope. Inutile citare e nomi e cognomi di arrestati e indagati, e neanche i toni più allusivi che boccacceschi su ”festini hard” e “ragazze” ben retribuite. L’impressione è che stiamo parlando di una storia più giornalistica che giudiziaria, di cui mai si sarebbe interessato il politico- giornalista- giustiziere Ferruccio Sansa se dalle solite sciagurate “pieghe” delle ordinanze non fosse spuntato come un povero fungo autunnale il nome di un personaggio che è più che un drappo rosso davanti all’infuriato toro regionale. Alessandro Piana è il numero due di Toti, vicepresidente della giunta. È un esponente della Lega, e per alcuni questo potrebbe essere già sospetto. Una signora, di cui non si capisce bene se sia una escort o una organizzatrice, in una foto crede di riconoscere il politico come “utilizzatore finale” dell’attività sessuale di una ragazza in una certa festa.

Piana è indignato, mai conosciuto gli organizzatori di quelle serate, mai consumato droghe o andato a prostitute, dice. Inoltre per quella determinata sera ha un “alibi” che nessuno gli ha chiesto, non essendo lui iscritto nel registro degli indagati né raggiunto da alcuna informazione di garanzia. Ma perché il suo nome è in carte ormai rese pubbliche? Fatto sta che il toro infuriato chiede immediate dimissioni del vicepresidente, denunciando il fatto che in Liguria sia arrivato il “bunga- bunga”. È arrivato il “metodo Travaglio”, in realtà. Andata e ritorno, però, questa volta. Provvede il quotidiano “La Verità”, che quanto a giornalismo d’inchiesta non è certo secondo neanche al “Fatto”.

Un caso di nemesi storica, dunque? O del principio per cui chi di spada ferisce di spada perisce? O di chi la fa l’aspetti? Un po’ tutto, tra filosofia e detti popolari. Il giornalista Giacomo Amadori della “Verità” rimprovera all’antico “complice” di inchieste sulla famiglia Renzi di esser diventato un politico piagnucoloso, e di aver abbandonato l’antica gagliardia, quando il quotidiano di Maurizio Belpietro spara la notizia di un’altra inchiesta. In cui anche il nome di Sansa è citato, non perché sia sottoposto a indagini ma in quanto marito di un’avvocata inquisita per circonvenzione di incapace e soprattutto perché cointestatario di un conto corrente bancario ora bloccato dalla magistratura.

Il governatore Toti irride: non chiederemo le dimissioni del consigliere Sansa. Il poveretto, cui Marco Travaglio non ha impartito lezioni di astuzia politica, invece di abbozzare, strilla: infangate mia moglie per colpire me. Aiahi! È necessario andare in emeroteca a sfogliare le collezione dei quotidiani, e recuperare così le decine e decine di articoli non solo su Berlusconi e Renzi ma anche su tante persone meno attrezzate nella possibilità di difendersi gettate in pasto all’opinione pubblica solo perché parenti di un mafioso? Ferruccio Sansa, nel chiedere le dimissioni di Piana, ha sostenuto che non importa che il vicegovernatore ligure non sia indagato, ma che il solo comparire nelle indagini lo rende “ricattabile”. Piana dunque, per Sansa, non può restare al proprio posto.

Ma appunto, se provassimo a usare la stessa logica nei confronti del giornalista ed esponente dell’opposizione, dovremmo dire quanto sia sospetto il fatto che sua moglie abbia ricevuto dal proprio “complice”, il sacerdote come lei indagato per circonvenzione di incapace, circa 130.000 euro dell’eredità dell’anziana signora dai due assistita.

E quanto sia ancor più sospetto il fatto che i due coniugi Sansa abbiano usato 100.000 euro di quell’eredità per acquistare una casa per il figlio. Tutto ciò renderebbe dunque Ferruccio Sansa “ricattabile”. Ergo, il consigliere dovrebbe dimettersi. Anche se nessuno, come ha ricordato Giovanni Toti, quelle dimissioni ha richiesto. Ma avrebbe senso tutto ciò? Ovviamente no, non ne avrebbe.

Ma c’è infine una morale della favola? Non c’è. Perché continuerà la diffusione di carte giudiziarie con nomi di persone totalmente estranee all’inchiesta. Perché nelle ordinanze quei nomi continueranno a esserci. Perché continueranno a esistere coloro che si ritengono più virtuosi degli altri, tanto che Beppe Grillo ci ha fondato un partito, sempre pronti a puntare il dito. Fino a raccogliere firme contro la sepoltura di un “nemico”. L’unica speranza che rimane, senza augurare il male a nessuno, è dunque la logica vendicativa dell’occhio per occhio e dente per dente? E sperare che capiti a tutti i forcaioli dell’universo quel che sta succedendo a Sansa? Chissà se Ferruccio in queste ore avrà la capacità di fare qualche riflessione, di immedesimarsi, di capire. Magari di alzare un telefono: “Sai Marco, ripensandoci…”