I RAPPORTI LEGA- MOSCA E IL VOTO

La caduta del governo, oltre a segnare il tramonto di Berlusconi, sposta la leadership da Salvini a Meloni, la sola a rimanere credibile in quello schieramento

UNO. Che Matteo Salvini abbia un debole per Putin e lo gratifichi ( lo abbia già e a lungo gratificato) come il «migliore» dei leader del mondo, è stranoto e verificato. Del resto, il capo della Lega non l’ha mai nascosto. Anzi. Indossare la maglietta col volto del dittatore russo, per Salvini leader di un ( allora) importante partito italiano, non solo non fu imbarazzante, ma diventò una vanteria esibita con piacere e furbizia. Come dire: non ne ha fatto mai mistero. Anzi, ci teneva si sapesse. Obiettivo: accrescere il proprio prestigio e, guadagnare un po’ di voti tenendo indietro e lontana Giorgia Meloni. Non a caso andava urlando che lui- Salvini - avrebbe volentieri, per mezzo Putin, dato in cambio due Mattarella interi. Uno scambio considerato dal capo leghista un vero affare.

Per correttezza, bisogna subito avvertire i lettori, ed è particolare non irrilevante, che quando Salvini andava in giro col volto di Putin sulla maglietta, l’aggressione di Putin contro l’Ucraina non c’era, e nessuno pensava ( almeno pubblicamente) che ci sarebbe stata.

Ma lo scoop della Stampa di Torino sui colloqui tra Salvini e i dirigenti dell’ambasciata russa in Italia interessati a mandare all’aria il governo di Draghi ( i nostri servizi non li hanno negati: hanno negato di essere la fonte di quelle notizie che, tuttavia, hanno aggiunto, a loro non risultano) hanno un retroterra corposo. Non a caso ieri è sceso in campo sulla Stampa il suo direttore, Massimo Giannini, riconfermando tutto. Peraltro è certo che Salvini abbia pensato e tentato, a massacro ucraino in corso, di recarsi in Russia per parlare coi dirigenti di quel paese per - è la tesi dei collaboratori di Salvini - tentare di contribuire a metter fine alla guerra. Un quadro che implica l’esistenza tra Salvini e i russi di rapporti, se non di alleanza e organizzativi, di stima e confidenza tra il leghista e il potere putiniano. È noto e ufficiale anche che i russi avessero già pagato i biglietti dell’aereo per il viaggio, regolarmente rimborsati da Salvini quando il progetto, non è chiaro perché, è saltato.

DUE. Il governo Draghi è stato affossato, col contributo e la spinta più o meno determinante dei russi? Messa così la questione si presta ad apparire una fake news. E di essere diffusori di fake news è l’accusa che Salvini lancia da 48 ore contro tutto e tutti com’era agevole capire dalla lettura dei giornali dei giorni scorsi. Altra cosa è, invece, mettere in fila i fatti innegabili che si stanno attorcigliando in Italia attorno alla guerra ucraina, a russi e filorussi e alla caduta del governo Draghi.

Che la Russia fosse interessata a far cadere il governo italiano è ovvio. Draghi è stato uno dei leader europei che ha più energicamente operato in Europa e non solo per costruire, con successo, uno schieramento determinato nella difesa dell’Ucraina. Ed è stato l’ex presidente del Consiglio italiano a lavorare per alleggerire il ricatto russo del gas che Putin utilizza contro tutto e tutti. Insomma, che Draghi sia leader politico di notevole spessore e di caratura internazionale ( e non un economista prestato alla politica) è difficile negarlo. Del resto i segni di gioia dopo le dimissioni di Draghi, da parte dei russi, sono lì a dimostrarlo.

Draghi, però, non è stato messo in crisi da Putin o dai russi ma dai partiti italiani. Anzi, senza di loro l’affondo sarebbe stato impossibile e i russi avrebbero girato a vuoto. L’attacco è nato e s’è consumato per intero nel nostro paese tra forzature e furbizie. Solo dopo l’hanno agganciato i russi per vantarsene ( Johnson, Draghi… avanti il prossimo).

Ha iniziato ( con le furbizie) l’ex presidente Conte, attuale capo di quel che è rimasto del mondo pentastellato, immaginando di poter recuperare i propri consensi che sapeva in caduta libera. Ha puntato a proporsi come leader del pacifismo italiano con l’obiettivo d’intercettare elettoralmente culture nobili nate in Italia su altre e antiche esperienze consolidate: civili ( Vietnam) e religiose ( l’impegno crescente di Chiesa e cattolici sulla pace). La polemica strisciante sull’invio delle armi all’Ucraina, agitata da Conte, è stata strumentale in modo evidente anche perché il provvedimento era stato regolarmente votato in Parlamento, senza distinguo alcuno e senza batter ciglio, dai 5S. La strumentalità è poi esplosa quando in concorrenza coi 5S s’è subito fiondato Salvini, anche lui alla ricerca di un contenimento del flusso calante del proprio consenso. Conte e Salvini si sono mossi in modo autonomo e indipendente, ma facendo la stessa partita ( riconquistare consensi in perdita) hanno finito con l’incrociarsi e peggiorarla per entrambi.

Da qui il paradosso di Conte che spalanca la strada agli obiettivi della destra e del centrodestra di mandare in tilt il governo Draghi. E anche la curiosa batosta politica autoinflitta da Salvini a sé stesso. Il capo leghista entrato nel gioco per rafforzarsi ancor di più, dopo la cessione del patrimonio di Berlusconi alla Lega ( vedi gli addii a quel che resta di Fi), ha fatto rimbalzare come leader incontrastato ( e credibile) del centrodestra Giorgia Meloni che, sapientemente, s’è tenuta fuori dalle furbizie e ora giganteggia su entrambi.

Così la caduta del governo Draghi, decretata sull’Appia Antica dal centrodestra, oltre a segnare il tramonto di Berlusconi che in passato mai aveva subito addii di peso come quelli di queste ore, sposta la leadership di quella coalizione dal Cavaliere ( e dall’aspirante leader Salvini) a Giorgia Meloni. La sola resta credibile in quello schieramento. E nello stesso tempo col suicidio politico di Conte, rafforza la crisi del centrosinistra costretto a prendere le distanze dai pentastellati.