«Il salto di qualità al Consiglio superiore della magistratura mi pare di tutta evidenza: dal “perdono” dei magistrati compromessi da dubbia condotta etica, si è passati direttamente alla loro promozione», afferma il togato Andrea Mirenda all’indomani della nomina, a cui non ha partecipato insieme al laico Michele Papa (M5s), di Marilena Rizzo a presidente della Corte d'appello di Bologna. Sedici i voti a suo favore contro i nove andati a Guido Federico (presidente di sezione in appello ad Ancona, ndr). Tre le astensioni.

«Ogni giorno che passa – aggiunge il componente senza “correnti” del Csm – abbiamo la prova che il sistema di spartizione degli incarichi che ha fatto come unica vittima Luca Palamara, il capro espiatorio per antonomasia, è in piena salute ed è perfettamente attivo. Ci potrà essere un cambio di rotta solo con il sorteggio dei componenti togati del Csm e la rotazione degli incarichi».

La magistrata, da presidente del tribunale di Firenze, era finita nell’occhio del ciclone per aver chattato con Palamara, all’epoca, prima di essere radiato, potente presidente della Commissione per gli incarichi direttivi del Csm, per chiedergli la nomina di colleghi in servizio nel suo distretto.

A carico di Rizzo era stato inizialmente aperto un procedimento disciplinare, poi chiuso per «scarsa rilevanza» nonostante la Procura generale fosse stata molto severa nelle incolpazioni. Si era trattato, scrissero, di condotte connotate da «sporadici riferimenti correntizi inopportuni».

Archiviato il disciplinare, Rizzo aveva affrontato le forche caudine della conferma, definita poi con esito positivo dopo un acceso dibattito ed un terzo di voti contrari. Il Csm, in particolare, aveva evidenziato le sue qualità dirigenziali ed il fatto che aveva egregiamente diretto l’ufficio, raggiungendo risultati di livello. Per Palazzo Bachelet, nel periodo in esame, a parte le chat, Rizzo aveva dimostrato competenza e possesso di doti organizzative che le avevano consentito di assicurare funzionalità ed efficienza all’ufficio.

Un ruolo importante lo aveva comunque giocato il fattore tempo. Gli episodi, era stato ricordato, risalenti al biennio 2017-2019 non erano tali da dimostrare perdita di imparzialità ed indipendenza. Tesi che non aveva però pienamente convinto chi al Csm riteneva invece che la sua condotta risultasse contaminata da condizionamenti.

Si sarebbe trattato di rapporti e vincoli che, da un lato, offuscavano la funzione direttiva e dall’altro, inevitabilmente, finivano per sovrapporre l’esercizio di tale funzione con l’impegno associativo, fondendoli in modo inscindibile e nel quale i due elementi apparivano legati da un rapporto di reciproca interferenza. Le chat, ed è la tesi avanzata anche da chi ha votato contro la sua nomina a Bologna, sono espressione di una modalità di intendere ed esercitare le funzioni direttive. Queste ultime richiedono la capacità di valutare e di valorizzare le attitudini dei magistrati dell’ufficio in termini obiettivi e scevri da condizionamenti di sorta, tanto più quando si presiede il Consiglio giudiziario, organo consultivo del Csm per le carriere delle toghe.

Le polemiche che hanno interessato la magistrata, sicuramente, sono destinate a ripetersi. La “colpa”, va però sottolineato, è del Csm che in cinque anni non ha mai messo un punto fermo riguardo queste chat, con un metro di valutazione unico per coloro che si erano dedicati ad influire con segnalazioni e premure sulle procedure di nomina del Csm. Comportamenti, viene sempre evidenziato, molto pericolosi per l’indipendenza del singolo giudice e, a cascata, per il diritto dei cittadini ad avere magistrati trasparenti.

«Se quanto facciamo noi magistrati si ripetesse in una procedura concorsuale pubblica, avremmo dubbi sull’inevitabile interessamento della magistratura penale? E dobbiamo allora ringraziare il legislatore per l’abolizione dell’abuso d’ufficio: gioverà più a noi magistrati che agli amministratori pubblici», ha aggiunto, con tono polemico, Mirenda.

Polemiche a parte, va registrata la soddisfazione dell'Ordine degli avvocati di Bologna per la nomina di Rizzo a Presidente della Corte d’Appello del capoluogo emiliano. «Un magistrato di altissimo profilo, la cui lunga e prestigiosa carriera testimonia un impegno costante per la giustizia, l’efficienza del sistema giudiziario e l’attenzione ai diritti dei cittadini», ha dichiarato il vicepresidente vicario dell’Ordine, l'avvocato Paolo Rossi. «Siamo certi – ha aggiunto – che saprà guidare la Corte d’Appello di Bologna con equilibrio, autorevolezza e spirito di servizio».

A fargli eco, il segretario dell’Ordine, l'avvocato Giovanni Delucca: «La collaborazione tra magistratura e avvocatura è fondamentale per garantire una giustizia realmente accessibile ed efficace. Con lei alla guida della Corte d’Appello, auspichiamo ad una serena collaborazione incentrata sul dialogo e sulla sinergia istituzionale».

L’Ordine degli Avvocati di Bologna ha quindi augurato buon lavoro alla neo presidente con la certezza che saprà interpretare questo incarico con competenza e sensibilità.