Invece di riforma “Nordio”, quella sulla separazione delle carriere avrebbe potuto chiamarsi tranquillamente riforma “Palamara”. Senza il procedimento giudiziario che nella tarda primavera del 2019 travolse l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, disvelando il sistema delle nomine al Csm, molto difficilmente questa settimana il ddl che separa le carriere di pm e giudici e introduce il sorteggio per i togati di Palazzo Bachelet sarebbe stato varato dal governo.

Aver intercettato il telefonino di Palamara non puntellò minimamente l’impianto accusatorio della Procura di Perugia ( l’iniziale ipotesi di corruzione è stata poi derubricata nel quanto mai evanescente reato di traffico d’influenze, ndr), ma permise agli italiani – con la pubblicazione delle chat dei magistrati che, direttamente o tramite un collega, gli chiedevano una nomina o un incarico – di conoscere come avveniva realmente la selezione dei capi degli uffici giudiziari. “Fai come al solito, scegli chi deve andare e poi bandiamo il posto”, scriveva un magistrato a Palamara, allora potente presidente della Commissione Csm per gli incarichi direttivi. Si trattò della cosiddetta “autopromozione”, sdoganata dal procuratore generale della Cassazione, che se perseguita disciplinarmente avrebbe rischiato di azzerare i vertici di almeno 2- 300 uffici giudiziari.

La riforma Cartabia, nata allora per stoppare il “mercato” delle nomine al Csm e togliere potere alle correnti che il mercato lo alimentavano, alla prova dei fatti ha prodotto l’effetto contrario, rafforzando ancora di più i gruppi associativi. Infatti, con l’eccezione dell’indipendente Andrea Mirenda, tutti gli attuali componenti togati sono esponenti delle varie correnti dell’Anm. Ma, si badi bene, la responsabilità di ciò non è dei diretti interessati. Con i macro collegi previsti dalla riforma Cartabia, senza una corrente di riferimento alle spalle, era praticamente impossibile per un candidato privo di “casacca” farsi conoscere dai colleghi e chiedergli il voto.

Luca Palamara, ex pm
Luca Palamara, ex pm
L'ex pm Luca Palamara

Su queste dinamiche Palamara, rimosso dalla magistratura dopo un turbo- processo disciplinare che andrebbe preso a modello quando si discute delle lungaggini della giustizia, ha scritto due libri di grande successo con il direttore del Giornale Alessandro Sallusti. «Il mio non è stato e non sarà mai un racconto contro la magistratura ma un modo per squarciare il velo di ipocrisia che spesso caratterizza il palazzo del potere», ricorda Palamara, che ha voluto «sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della giustizia, che interessa la vita dei cittadini e per il quale occorreva individuare uno schema di rottura».

E adesso? Adesso, ammette Palamara, «la strada è segnata: il sorteggio è la fine della correntocrazia, e permetterà di far nascere una nuova classe dirigente di magistrati». Sarebbe questo dunque l’effetto della rottura totale prevista dal ddl costituzionale di Nordio con il sorteggio integrale dei togati al Csm. Ma cosa accadrà alle correnti? «Il loro spazio - risponde - si ridurrà inevitabilmente, e rimarranno solo quelle più ideologizzate o strutturate: i cartelli elettorali che abbiamo visto in questi anni, nati solo per ottenere incarichi, cesseranno la loro funzione. Ovviamente il percorso sarà accidentato e tortuoso», spiega l’ex presidente dell’Anm, «e solo dopo le elezioni europee saremo in grado di verificare il grado di accelerazione che la politica vorrà dare per realizzare la riforma. Ma invito alla cautela: è già accaduto nel 2011 che una riforma costituzionale non abbia sortito alcun effetto», ricorda Palamara.

La reazione durissima dall’Anm alla riforma nasconde anche il timore, conclude Palamara, che «l’organo inquirente possa perdere il suo ascendente su chi è chiamato a giudicare e poi a emettere la sentenza. Una situazione che, dal ’ 92, in qualche modo ha condizionato la vita politica e giudiziaria, e che ha alimentato la sinistra giustizialista» . Riguardo al sorteggio, su Questione Giustizia, la rivista di Magistratura democratica, è apparso ieri un articolo del direttore Nello Rossi. Molto critico con la riforma, Rossi argomento: “Le delicate funzioni istituzionali saranno affidate a magistrati che, per essere stati selezionati dalla mera sorte, non avranno alcun punto di riferimento se non la cerchia delle persone direttamente conosciute o il territorio in cui operano, e non si sentiranno direttamente responsabili nei confronti della generalità degli amministrati”. A sostegno della propria tesi, Rossi cita un’altra autorevole toga di Md, Valerio Savio, secondo il quale il consigliere estratto a sorte “sarebbe una monade svincolata da ogni responsabilità politica e di gruppo, senza retroterra e senza punti di riferimento pubblici, e potrebbe rapidamente, e stavolta non più patologicamente ma fisiologicamente, diventare il terminale di una lobby personale, di una rete di relazioni che non fa capo in chiaro a un riconoscibile e visibile gruppo associativo”.

Un giudizio non proprio lusinghiero nei confronti dei colleghi. Un magistrato, da solo, può dare 30 anni di prigione e non può in un organo collegiale decidere chi dovrà essere il presidente del Tribunale di Pozzolo Formigaro? ll compito del togato Csm, sulla carta, dovrebbe essere ontologicamente assai meno importante di quello di chi pronuncia una sentenza. A meno di non voler affermare che non tutti i magistrati siano in grado di esercitare le importanti funzioni assegnategli per legge. Ma questo è un altro discorso.