«La nostra posizione in merito ai diritti dei genitori, che include i casi transfrontalieri che coinvolgono diversi Stati membri, è che se un genitore è riconosciuto come tale in uno Stato membro gli altri Stati membri devono riconoscere tale paternità e la decisione deve essere rispettata». Per ora è difficile dire se le parole pronunciate dal portavoce della Commissione europea Christian Wigand si tradurranno in un atto concreto. Parlando con la stampa, Wigad ha precisato di non essere a conoscenza del caso di Padova, dove la procura ha impugnato 33 atti di nascita di bimbi nati da due donne registrati a partire dal 2017.

«Normalmente non possiamo commentare casi individuali», sottolinea il portavoce, limitandosi a ricordare la proposta di regolamento che la Commissione Ue ha presentato lo scorso dicembre. Il diritto di famiglia resta infatti di competenza nazionale, ma «controllerò se c’è bisogno di dire qualcosa», assicura Wigad. Il regolamento citato riguarda tutti i minori la cui genitorialità sia stata accertata in uno Stato membro e la cui famiglia si sposta in un altro Paese Ue, indipendentemente dal modo in cui il minore è stato concepito o nato, dal tipo di famiglia e dalla nazionalità del minore o dei genitori. La proposta ha l’obiettivo di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali dei minori in situazioni transfrontaliere, compreso il loro diritto all’identità, alla non discriminazione, alla vita privata e familiare, alla successione e al mantenimento in un altro Stato membro, «tenendo conto l’interesse superiore del bambino come considerazione primaria».

Una posizione chiara, quella della Commissione Ue, alla quale ora si rivolge la delegazione Pd con una interrogazione presentata a Bruxelles per fare chiarezza sul “caso Padova”. «Si domanda ai commissari se la decisione dell’autorità giudiziaria italiana rispetti i principi e i valori comunitari. Inoltre si chiede se la Commissione Ue stia valutando di intraprendere azioni per far rispettare all’Italia il diritto dell’Ue e la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue», spiegano il capodelegazione del Pd al Pe, Brando Benifei, e la prima firmataria dell’interrogazione, Pina Picierno. «Noi al Parlamento europeo abbiamo preso già preso una posizione molto netta. Ora la Commissione Ue agisca immediatamente contro la deriva orbaniana dell’Italia», tuona l’eurodeputato di Renew Europe Sandro Gozi. Che invece fa riferimento alla condanna da parte dell’Eurocamera, che lo scorso marzo si è espressa sullo stop delle registrazioni a Milano dopo la circolare del Viminale ai Comuni. Una decisione che il governo fa seguire alla sentenza della Cassazione dello scorso dicembre, la quale stabilisce che il genitore che non abbia un legame biologico con bimbo nato tramite maternità surrogata non può essere riconosciuto automaticamente, ma può ricorrere all’istituto dell’adozione in casi particolari. «La genitorialità per contratto non esiste», dice in un’intervista al Corriere della Sera la ministra della Famiglia Eugenia Roccella. Per la quale l’unica via percorribile è l’adozione in casi particolari: una procedura di pochi mesi, «non discriminatoria», secondo la ministra. Un iter lungo e dispendioso, secondo le famiglie di Padova che a distanza di sei anni si sono viste recapitare le raccomandate della procura, per la quale quegli atti di nascita sono illegittimi.

«Io sono tenuta a far rispettare la legge, con l’attuale normativa non posso fare altro», spiega la procuratrice di Padova Valeria Sanzari all’Ansa. Ma il tema è complesso e dibattuto, sia sul piano politico che del diritto. «La Cassazione, con la sentenza pronunciata a Sezioni Unite n. 38162 del 2022, ha affermato l'illegittimità della trascrizione degli atti di nascita dei figli di due padri perché, in questo caso, alla base vi è il ricorso alla pratica della maternità surrogata che, secondo la Cassazione, è contraria ai principi fondamentali del nostro ordinamento in quanto la donna che partorisce si impegna (spesso perché pagata) a consegnare il figlio ai padri committenti. Nel caso padovano, questo autorevolissimo precedente non può essere invocato», scrive sul Corriere della Sera Carlo Rimini, ordinario di diritto privato all’Università di Milano. L’unica certezza nel groviglio di posizioni emerse in questi giorni è che una legge in materia non c’è, nonostante il monito della Consulta al Parlamento. Lo sottolineano da mesi i sindaci “ribelli”, che in diverse città hanno avviato o continuato la registrazione degli atti di nascita di bimbi nati da due donne, tramite fecondazione eterologa. Una pratica che in Italia è legale soltanto per le coppie eterosessuali.