Il deputato di Azione Enrico Costa incassa il no al carcere per i giornalisti, ma porta a casa un risultato: il sì del governo - dopo la riformulazione - ad un suo emendamento al ddl Cybersicurezza che prevede un controllo del ministero della Giustizia, attraverso l’ispettorato, sulla «regolarità degli accessi alle banche dati» e sul «rispetto delle prescrizioni di sicurezza».

Una possibilità che ha di fatto scatenato la bagarre, nella seduta congiunta di mercoledì delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera, dove Pd, M5S e Avs hanno lanciato l’allarme su un possibile controllo politico sulle inchieste, controllo celato dal paravento della sicurezza. In Commissione, l’ex procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho, oggi deputato del M5S, ha preso la parola per opporsi alla proposta, sottolineando il rischio di controllo sui contenuti delle informazioni oggetto di accesso, che «determinerebbe una verifica nel merito», con il conseguente «allargamento dell’intervento del ministro della Giustizia sui contenuti dell’attività investigativa». Ciò che il ministro deve controllare, ha aggiunto, è che «vengano osservate le prescrizioni e che quindi il sistema sia effettivamente garantito e protetto, impedendo il verificarsi di illiceità come quelle già accadute».

Non è possibile - gli ha fatto eco la collega Valentina D’Orso - «avallare un’indebita ingerenza dell’organo amministrativo su indagini coperte dal segreto, sarebbe opportuno accantonare il tema in questa sede e concentrarsi preliminarmente su un apposito intervento legislativo volto ad individuare le prescrizioni di sicurezza». Preoccupazione condivisa da Federico Gianassi del Pd, che ha inviato il governo «a riflettere più attentamente», dal momento che con la proposta Costa «si attribuirebbe ad un corpo amministrativo alle dipendenze del ministero della Giustizia – che invece è un organo politico – il compito di verificare l’accesso regolare o abusivo alle banche dati da parte della polizia giudiziaria in relazione a delle indagini penali che, per loro natura, devono restare segrete e riservate». Considerazione alla quale si è aggiunto un commento di valore: data la vicenda che ha coinvolto il sottosegretario Andrea Delmastro, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio -, il Pd «non nutre fiducia nella capacità dei componenti di tale dicastero di preservare le notizie segrete».

Alle proteste delle opposizioni ha replicato la sottosegretaria Matilde Siracusano, che ha parlato di «ampia riflessione da parte dell’Esecutivo» e di una proposta che va «nella direzione prudenziale che tende ad evitare gli indebiti accessi alle banche dati da parte di persone non legittimate a farlo». I fatti relativi al cosiddetto caso dossieraggi, ha aggiunto, «sono particolarmente gravi» e pertanto «necessitavano di un intervento. La proposta emendativa dell’onorevole Costa – che tuttavia presentava degli elementi di rischio – ha quindi rappresentato l’occasione giusta per intervenire sul tema attraverso la riformulazione vagliata con grande attenzione dal ministero della Giustizia».

La formulazione iniziale prevedeva «ispezioni annuali volte a verificare la regolarità degli accessi degli operatori alle banche dati giudiziarie e alle altre banche dati in uso agli uffici giudiziari», dunque interventi random, senza un atto d’impulso collegato a specifiche esigenze. La nuova formulazione, approvata mercoledì, prevede invece che nel corso delle ispezioni venga verificato, tra le altre cose, anche «il rispetto delle prescrizioni di sicurezza negli accessi alle banche di dati in uso presso gli uffici giudiziari», «nonché il rispetto delle prescrizioni di sicurezza negli accessi alle banche di dati in uso presso gli uffici giudiziari». Una formulazione un po’ più morbida, ma comunque preoccupante per le opposizioni, Italia Viva esclusa.

Costa incassa dunque la vittoria, dopo esser stato costretto a rinunciare all’emendamento che mirava a punire i giornalisti finiti in possesso, consapevolmente, di notizie frutto di reato, proposta che aveva fatto infuriare giornalisti e associazioni della stampa, mettendo in allarme anche il governo, che con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha messo un veto sull’emendamento. Il deputato ha parlato di «violento attacco giornalistico e mediatico», per aver voluto «segnalare una lacuna normativa sul tema. Invero - ha dichiarato durante una delle ultime sedute -, neppure la giurisprudenza può dirsi univoca sul punto. Spetta al legislatore stabilire i confini del diritto di cronaca, effettuando un bilanciamento tra gli interessi costituzionali in gioco, come avvenuto sulla questione della presunzione di innocenza in tema di ordinanze di custodia cautelare».

Ma il governo, a suo dire, avrebbe preferito evitare di affrontare a viso aperto una questione «potenzialmente divisiva», per portare a casa questo provvedimento nel più breve tempo possibile. Il responsabile giustizia di Azione, però, non sembra intenzionato a gettare la spugna. E dopo aver ottenuto la possibilità di vigilare su una delle due parti in causa, ovvero le procure, per verificare eventuali accessi illegittimi alle banche dati, scalda i motori per portare a casa anche la stretta sui trojan - altro emendamento ritirato nell’ambito del ddl Cybersicurezza -, incassando la disponibilità del governo ad accogliere la discussione sul tema in un prossimo provvedimento. Quello prescelto dovrebbe essere il ddl su intercettazioni e sequestro dei telefoni. «Dei contenuti non abbiamo ancora parlato - ha spiegato il deputato di Azione al Dubbio -, però mi sembra che ci sia una condivisione di massima, da parte del governo, sullo spirito dei miei emendamenti, quantomeno sul trojan». La battaglia di Costa è solo all’inizio.