«Sei d’accordo che il Movimento 5 Stelle faccia partire un Governo, insieme al Partito democratico, presieduto da Giuseppe Conte?».

Dopo un agosto rovente e pieno di colpi di scena il momento è arrivato: oggi, dalle 9 alle 18, i militanti M5S dovranno esprimersi su Rousseau per decidere se benedire far saltare la strana alleanza col nemico di sempre: il Pd. «No» o «Sì», era l’ordine delle due opzioni inizialmente sottoposto alla base e poi invertito. Una risposta secca da cui dipende il futuro della maggioranza giallo- rossa.

«La piattaforma è un mezzo che un movimento politico ha deciso di dotarsi per prendere le proprie decisioni, pari ad una direzione di partito», mette subito in chiaro il capo dei senatori grillini Stefano Patuanelli.

«Se dovessero prevalere i no, il presidente del Consiglio dovrà sciogliere la riserva di conseguenza: in modo negativo. Non vedo alternativa», sentenzia l’esponente pentastellato, consapevole dei malumori che agitano la base. Insomma, il rischio che l’intesa si sgretoli all’ultimo miglio esiste.

E il capo politico, Luigi Di Maio, prova a rassicurare gli attivisti con un’intervista a Class Cnbc.

«Voglio dare un governo al Paese, ma non a tutti i costi», dice. «Se nasce il Conte bis nasce per realizzare temi che stanno a cuore alle persone, non per approssimarli o annacquarli».

Dunque, Lega o Pd non cambia, è il messaggio del leader grillino ai suoi, l’importante è che a guidare i processi ci sia il M5S. Poi in serata aggiunge: «Per il Movimento la democrazia diretta è un valore irrinunciabile. Non abbiate paura. Non esiste un voto giusto o sbagliato».

L’ex vice premier, ovviamente non si sbilancia, si limita a invitare gli iscritti a partecipare. Non è altrettanto neutro nell’appello al voto il presidente del Consiglio incaricato, che nel corso di una diretta Facebook a margine del vertice con i capigruppo a Palazzo Chigi si rivolge direttamente ai grillini.

«Non mi sfuggono le ragioni delle perplessità», premette Conte. «Ricordo però che il M5S ha detto in modo molto chiaro prima delle elezioni che se non avesse avuto la maggioranza avrebbe realizzato il programma con le forze disponibili a farlo», argomenta.

«A voi dico di non tenere nel cassetto queste idee e questi sogni: tirateli fuori, oggi più che mai ne abbiamo bisogno», insiste.

Chi non ha alcuna intenzione di aprirlo quel cassetto è invece Gianluigi Paragone, che annuncia la propria contrarietà all’accordo.

«Io voterò no e mi auguro che il no prevalga», dice l’ex direttore della Padania. «Chi dice no all’accordo con il Pd sta soltanto svolgendo un’analisi politica», spiega Paragone, il cui parere conta, soprattutto per l’ala filo leghista del Movimento pronta, secondo quanto riferito dal vice segretario della Lega, Andrea Crippa, a lasciare il partito in cambio di una ricandidatura col Carroccio.

Ma ciò che più agita i sonni pentastellati è il silenzio di Alessandro Di Battista sulla consultazione, ostentato all’uscita dall’incontro riservato avuto col capo politico in un appartamento del centro a Roma.

«Non ho mai dichiarato in vita mia» cosa voto, ha dichiarato prima di fuggire a bordo di uno scooter. L’ostilità di Dibba a un’intesa col Pd non è un mistero, difficile interpretare la sua “discrezione” come un segnale distensivo rivolto ai militanti.

Ma il tempo dei retroscena è finito, ora la palla passa agli iscritti. Tra timori di brogli e di una massiccia presenza di ex grillini, nel frattempo diventati sostenitori del “capitano”.