Dieci ministri pentastellati, nove dem, un esponente di Leu e un profilo tecnico. A meno di un mese dalla crisi di governo aperta da Matteo Salvini in spiaggia, Giuseppe Conte è di nuovo presidente del Consiglio, ma con una nuova maggioranza, di centrosinistra. «Ora la parola compete al Parlamento e al governo», che «nei prossimi giorni si presenterà davanti alle Camere per chiedere la fiducia e presentare il suo programma», dice soddisfatto Sergio Mattarella dopo aver ricevuto dal premier incaricato la lista dei 21 ministri che oggi giureranno al Quirinale.

Solo sette le donne, un terzo del totale, ma alcune in posizioni di primo piano. A cominciare da Luciana Lamorgese, ex prefetto di Venezia e Milano, potentina senza alcuna tessera di partito in tasca, toccherà a lei uno dei compiti più delicati: prendere possesso dell’ufficio che fu di Matteo Salvini al Viminale e segnare la discontinuità con la gestione precedente, come chiesto dal Pd, soprattutto in tema di sbarchi e immigrazione. Ne sanno qualcosa Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta, ex ministri delle Infrastrutture e della Difesa, corresponsabili, insieme al leader della Lega, della politica “porti chiusi”, oggi silurati dai loro precedenti incarichi. Al loro posto siedono due esponenti del Pd: la zingarettiana Paola De Micheli e il renziano Lorenzo Guerini.

Perché il Conte 2 è anche il governo delle correnti. Di tutte le correnti. Sia democratiche che grilline, tutti dentro per puntellare in modo stabile la nuova maggioranza. Sul fronte Nazareno, il segretario esprime anche Enzo Amendola ( Affari europei) e il giovane Giuseppe Provenzano ( Sud). «Il governo è di forte cambiamento anche generazionale e deve partire e lavorare per il bene del paese, produrre fatti e risultati sui temi che abbiamo indicato», commenta soddisfatto Zingaretti, che ha preteso l’ingresso in squadra anche di Dario Franceschini, tornato alla Cultura, e lo ha investito del ruolo di capo delegazione dem a Palazzo Chigi, pur guidando una corrente tutta sua: Areadem. Vicino al capo del Pd, pur se non classificabile come “zingarettiano ortodosso”, è anche il nuovo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. In quota Renzi, oltre Guerini, trovano spazio anche Teresa Bellanova ( Agricoltura) ed Elena Bonetti, responsabile delle “Frattocchie renziane”, promossa ministra delle Pari opportunità. C’è spazio persino per Francesco Boccia, vicino al governatore Michele Emiliano, nominato responsabile degli Affari regionali.

Non è da meno il Movimento 5 Stelle. Luigi Di Maio, che tiene per sé la prestigiosissima Farnesina, si circonda di fedelissimi - Alfonso Bonafede confermato Guardasigilli e Riccardo Fraccaro promosso sottosegretario di Conte su tutti - ma per la prima volta libera una poltrona anche per la minoranza. Il fichiano Federico D’Incà, che pochi giorni fa invitava i grillini a chiudere senza rimpianti la stagione leghista, è il nuovo ministro per i Rapporti col Parlamento.

Poi, quasi tutte figure fidate. Il “mediatore” Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato, prenderà una delle poltrone appartenute al capo politico, quella dello Sviluppo economico. L’altra, il Lavoro, sarà affidata a Nunzia Catalfo, tra gli estensori della legge sul reddito di cittadinanza. All’Istruzione ci sarà Lorenzo Fioramonti, mentre Paola Pisano, chiamata direttamente dalla Giunta Appendino, si occuperà di Innovazione. Direttamente dall’apparato pentastellato arriva invece Fabiana Dadone, membro del collegio dei probiviri, prestata alla Funzione pubblica. Tra le conferme: Vincenzo Spadafora, che però si sposta allo Sport. Chi non si muove dal suo dicastero è invece il comandante dei Carabinieri Sergio Costa, stimato anche dai dem, confermato all’Ambiente.

Infine, acquista una quota del nuovo governo anche Leu, che piazza Roberto Speranza alla Sanità e allarga la maggioranza. «C’è tanta voglia di fare», commenta il neo ministro degli Esteri Di Maio. «Il mio in bocca al lupo ai nuovi, a chi domani giurerà nelle mani del capo dello Stato. Abbiamo molta strada davanti e molto fiato in corpo. Buon lavoro!», chiosa. Ma gli scogli non sono finiti. Il premier si deve presentare alle Camere per chiedere la fiducia sul programma di governo. E resta un’incognita sull’atteggiamento dei grillini filo leghisti a Palazzo Madama. I vari Paragone e Lannutti, che ancora ieri mattina definiva il Pd come il «partito geneticamente modificato come una pannocchia della Monsanto, contro il quale mi sono battuto in questi anni».