Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il via a quello che è stato definito per semplicità «scudo penale» per i medici, che saranno perseguibili solo in caso di «colpa grave» qualora la riforma ricevesse il placet da Camera e Senato. Secondo il professore e avvocato Cristiano Cupelli, ordinario di diritto penale presso l’Università di Roma Tor Vergata, «se, come è auspicabile, il Parlamento darà il via libera alla riforma, si offrirà un importante contributo per rasserenare il clima in cui i medici quotidianamente sono chiamati a operare».

Un clima, ci spiega Cupelli, «che oggi appare tutt’altro che semplice e pacifico, visto che – come da più parti denunciato – le difficoltà tecniche dell’attività sanitaria sono ulteriormente complicate dai disagi organizzativi e dalla conflittualità ingenerata dalla costante tendenza alla ricerca di un capro espiatorio per tutto ciò che non va come i pazienti o i loro familiari si aspettano che vada». Ebbene, «una norma che in qualche misura circoscriva alle sole ipotesi più gravi la responsabilità colposa in ambito sanitario (senza alcuna depenalizzazione, ovviamente) può contribuire a restituire serenità al personale medico e dunque a consentire di lavorare meglio», assicura l’esperto.

Dal punto di vista strettamente giuridico, «le principali imputazioni avanzate nei confronti dei medici riguardano le fattispecie di omicidio colposo e lesioni colpose; a queste ipotesi, di carattere generale, si aggiunge, nel peculiare e delicato settore della ginecologia, la diffusa contestazione della interruzione colposa di gravidanza, attualmente fuori dallo spettro applicativo della nuova (ma anche della vecchia) ipotesi di non punibilità». Rispetto a questa lacuna, ci dice ancora Cupelli, «si potrebbe rimediare in sede parlamentare, così superando le perplessità cui si espone il diverso trattamento riservato a un qualunque medico che, nell’esercizio della propria attività, cagioni la morte del paziente rispetto a un ginecologo che cagioni colposamente un aborto, tenuto a soggiacere a una disciplina più gravosa nella quale, nonostante il rispetto di linee guida o buone prassi, rilevi anche la colpa lieve».

Al professore abbiamo chiesto anche se sia improprio parlare di “scudo penale”, espressione che potrebbe invocare una sorta di impunità dei medici. «Sì – ci risponde –. Credo che alcune delle principali riserve che hanno accompagnato il provvedimento scaturiscano da un equivoco di fondo, favorito proprio dal fuorviante riferimento all’espressione “scudo penale”, che aleggia nel dibattito pubblico e nella proiezione mediatica: il messaggio cioè che si cerchi, a livello politico, di introdurre un odioso privilegio a tutela della classe medica e a discapito dei malati».

In realtà, per Cupelli, è vero esattamente il contrario: «Un medico più tranquillo è un professionista che lavora meglio e meglio tutela la salute dei suoi pazienti. Per questo, va salutato con favore un intervento – come quello messo in cantiere dal governo – che contribuisca a disarticolare la perversa ricerca, anche in sanità, di un colpevole a tutti i costi (sono i numeri che parlano: quasi 35mila azioni intraprese negli ultimi anni per presunta malpractice, con circa 300mila fascicoli che affollano i tribunali e il 97 per cento delle denunce in sede penale che finisce con archiviazione o proscioglimento) e che allontani non solo la gogna mediatica e il conseguente pregiudizio reputazionale, ma soprattutto il rischio che medici, scossi e spaventati, si attivino principalmente per la salvaguardia della loro incolumità, fisica (le aggressioni, nonostante gli ultimi provvedimenti, proseguono) e giudiziaria, attuando comportamenti tipici della medicina difensiva».

Se la riforma dovesse andare in porto, quali sarebbero però i tempi affinché si possano vedere dei cambiamenti? «Non si può pensare – spiega Cupelli – che possa bastare un testo legislativo, per quanto buono, a risolvere un problema, per così dire, strutturale dei nostri tempi: quel sentimento profondamente radicato nella società di oggi, nella quale il desiderio di giustizia si trasforma in sete di vendetta e la ricerca della verità diviene una formula vuota e stereotipata dietro la quale si cela la ricerca di un capro espiatorio da consegnare quanto prima alla dittatura del vittimismo; una imperante tirannia, che, abbondantemente enfatizzata dalla proiezione mediatica, pervade la quotidianità in nome dell’ancestrale e deresponsabilizzante canone per cui se qualcosa non è andata per il verso giusto è sempre colpa di qualcun altro, che va individuato e sanzionato. E questo qualcun altro, nel mondo sanitario, viene ancora individuato nel medico».

Tuttavia il provvedimento non limiterà le iscrizioni nel registro degli indagati, come ci illustra sempre il docente: «Su questo aspetto il provvedimento non avrà un’incidenza immediata, ma potrà comunque avere, per così dire, una proiezione indiretta, dal momento che il pm, prima di iscrivere a carico di un medico la notizia di reato, dovrà necessariamente considerare, anche alla luce dei più stringenti canoni del riformato art. 335 cpp, i nuovi parametri inseriti ai fini dell’accertamento della colpa medica e del suo grado (tra i quali, ad esempio, la scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, le eventuali carenze organizzative nonché la complessità della patologia del paziente)».