L’allarme è concreto e rischia di paralizzare gli uffici del Giudice di Pace di Roma – e non solo quelli - con ripercussioni negative per le attività degli avvocati. Da domani diventerà obbligatorio il deposito telematico degli atti del processo presso gli uffici del Giudice di Pace, sia per i procedimenti di nuova introduzione sia per quelli pendenti. L’Ordine degli avvocati di Roma ha sollevato la questione riguardante la mancata proroga dell'entrata in vigore del Processo civile telematico (Pct), nonostante gli uffici siano del tutto impreparati e il sistema al momento non sia funzionante. Il Coa capitolino già in passato ha denunciato i rischi della mancata implementazione del Pct in tempi utili per gestire il passaggio definitivo dal deposito cartaceo a quello telematico.

«Al momento – dice il Presidente del Coa Roma, Paolo Nesta - non ci risulta alcuna proroga dell’entrata in vigore, ma, come tutti i colleghi sanno, la macchina della giustizia non è assolutamente pronta a gestire il nuovo sistema. Questo vuol dire che il processo davanti al Giudice di Pace si bloccherà, con conseguenze disastrose per i cittadini». Secondo il presidente Nesta, l’allarme su un possibile blocco delle attività negli uffici del Giudice di Pace non riguarda solo la capitale ed è generalizzato. Ecco perché viene fatta una proposta ben precisa. «Una situazione – aggiunge il presidente degli avvocati romani - che ci risulta rischia di ripetersi a Roma e in tutta Italia. Sarebbe sufficiente, per evitare gravi conseguenze, adottare il sistema del “doppio binario” per un periodo limitato di tempo, ossia consentire anche il deposito cartaceo degli atti, come avvenuto fino ad oggi. Per quanto riguarda la capitale, l’Ordine degli avvocati vigilerà sul funzionamento del Pct, pronto a denunciare ogni disservizio».

Le istanze e le proposte dell’avvocatura vanno prese in considerazione. È questo in sintesi il punto di vista del coordinatore dell’Organismo congressuale forense, Mario Scialla, in merito all’entrata in vigore del Processo civile telematico davanti al Giudice di Pace. «L’attività programmata – dice al Dubbio l’avvocato Scialla -, come del resto abbiamo ampliamento previsto, dato che ci troviamo di fronte ad una operazione non semplice che richiede uno stanziamento economico, al momento inesistente, rischia di bloccarsi. Ci troviamo di fronte ad una struttura informatica che non può essere ancora aggiornata, secondo i tempi e le modalità previste. A prescindere da quello che può essere il problema, già individuato nei mesi scorsi, l’unica ipotesi da prendere in considerazione, senza tirar fuori il solito tema dei condizionamenti legati al Pnrr e a quanto ci chiede l’Europa, è quella di un rinvio dell’entrata in vigore dell’obbligo di deposito telematico».

Scialla si sofferma anche sulle modalità con cui vengono introdotte periodicamente alcune novità. «Quando si fanno delle innovazioni – commenta - e si passa al nuovo non è detto che si avrà a che fare soltanto con qualcosa di incerto e negativo. Le difficoltà strutturali e prevedibili però non possono essere sottovalutate e non possono bloccare interi uffici. Per questo occorre prendere atto della realtà e considerare un rinvio dell’entrata in vigore del Pct. Meglio degli avvocati la situazione non la conosce nessuno, per cui, se indichiamo delle proposte, sarebbe utile prenderle in considerazione. Dalla consultazione con i principali uffici dei Giudici di Pace dislocati sull’intero territorio italiano è emersa una drammatica situazione. La formazione del personale, organizzata mediante tutorial a video, da scaricare su iniziativa dei funzionari, o attraverso corsi a distanza, ha coinvolto solo una parte degli uffici, mentre ad altri non è stata neppure comunicata la data del corso ad essi destinato. Quelli che ne hanno usufruito l’hanno reputata insufficiente, ritenendo più efficace l’addestramento in presenza anziché da remoto».

Il coordinatore dell’Ocf riflette infine sul metodo, che, spesso, viene adottato in occasione di interventi strutturali nella giustizia. «Quello che non va – conclude Scialla - è il concetto di fondo. Ogni volta che si intravede un problema serio e lo si deve affrontare, si ribadisce il solito ritornello: “Lo chiede l’Europa”. Come già ribadito in occasione degli stati generali, l’avvocatura è stanca di subire una serie di diktat. Quando si va nei consessi europei, è necessario che qualcuno sollevi il tema dell’impossibilità a rimediare a certe situazioni secondo modalità imposte, senza conoscere determinate realtà. È lì che bisogna combattere e farsi valere».