IL COMMENTO

«Il popolo italiano vuole il presidenzialismo», tuona il centrodestra sin dagli anni in cui è nato, la metà dei ‘ 90 del secolo scorso. Alfiere all’epoca Alleanza Nazionale guidata da Fini, come oggi i FdI di Meloni.

A Il passo falso del Cav: mettere sotto sfratto il presidente più amato dagli italiani...

Il rapporto conflittuale col Colle risale ai tempi di Scalfaro. Ma per ora ha sempre perso

«Il popolo italiano vuole il presidenzialismo», tuona il centrodestra sin dagli anni in cui è nato, la metà dei ‘ 90 del secolo scorso. Alfiere all’epoca Alleanza Nazionale guidata da Gianfranco Fini, come oggi i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che s’è vista bloccare il disegno di legge a prima firma Luca Ciriani giusto ai primi di maggio scorso, e con un semplice emendamento dei Cinque Stelle in Commissione. Ma dietro la destra di Fratelli d’Italia, ieri come oggi ci sono le pulsioni di Silvio Berlusconi, giust’appunto esplicitate con un «e ora ci vuole il presidenzialismo… naturalmente se entrasse in vigore sarebbero necessarie le dimissioni di Mattarella». E va detto che ieri dalle parole del Cav ha subito preso le distanze proprio l’azionista di maggioranza della coalizione, Fratelli d’Italia per bocca di Ignazio La Russa: «Non critico Berlusconi, Poter dare lo sfratto al Presidente della Repubblica è probabilmente il più inconfessabile dei sogni di Silvio Berlusconi, che da presidente del Consiglio ha avuto rapporti pessimi con tutti gli inquilini del Colle, da Oscar Luigi Scalfaro che gli bocciò la nomina a Guardasigilli di Cesare Previti, a Carlo Azeglio Ciampi, che contrastava l’antieuropeismo del governo Berlusconi a trazione Bossi, a Giorgio Napolitano che dovette riconvocarlo al Quirinale, nel novembre 2011, per spiegargli che non poteva revocare le dimissioni date il giorno prima da Palazzo Chigi, e contro il quale il Berlusconi interdetto dalla politica ai sensi della legge Severino indiceva in Senato manifestazioni… Non basterebbe un tomo, a raccontare la sequela di contrasti con il Quirinale che ha segnato tutta la carriera del Berlusconi presidente del Consiglio. Ieri, davanti alle polemiche sulla richiesta di sloggiare rivolta a Mattarella, Berlusconi ha corretto il tiro: «Ho solo detto un’ovvietà». E sul punto ha ragione: se l’Italia transumasse dal regime parlamentare a quello presidenziale, con l’elezione diretta, quale capo dello Stato divenuto tale per elezione di secondo grado rimarrebbe mai al suo posto?

L’ovvietà detta da Berlusconi è tuttavia un’altra, e a questa ha reagito La Russa: fare esplicito riferimento all’uscita di scena di Sergio Mattarella, un presidente il cui gradimento presso gli italiani è pari solo a quello di Sandro Pertini, e in cima a tutti i sondaggi di oggi, seguito solo da Mario Draghi, mette fortemente a rischio il ( presunto) gradimento del presidenzialismo presso la pubblica opinione. Il rischio, concreto, esiste. Se il centrodestra prendesse la maggioranza assoluta dei seggi nei due rami del Parlamento potrebbe modificare la Costituzione senza referendum confermativo. E cioè senza chiedere il permesso agli italiani. Cosa che non è mai accaduta negli oltre settant’anni di storia Repubblicana. Bisogna notare che tutte le volte che agli italiani è stato chiesto di confermare modifiche del modello istituzionale italiano, le hanno respinte, con l’unica eccezione del Titolo V: passato con maggioranza risicata in Parlamento, ebbe l’ok dei cittadini probabilmente perché trattava di un’accentuazione del federalismo, un tema di modernizzazione della macchina statale molto sentito, allora come oggi. Le altre riforme dell’architettura costituzionale, quella elaborata per il centrodestra nella baita di Lorenzago dal trio Tremonti- Calderoli- D’Onofrio - e che prevedeva più un premierato che una forma presidenziale, in un ridisegno istituzionale piuttosto confuso, tra riduzione del numero dei parlamentari e un Senato solo apparentemente federale - durante il Berlusconi II venne bocciata nel 2006, come accadde anche nel dicembre 2014 al ddl Boschi- Renzi. Il lungo lavoro bipartisan della Commissione bicamerale di Massimo D’Alema non approdò invece mai in Aula: la mattina dell’ incardinamento in Parlamento, Berlusconi ritirò l’assenso alla soluzione di semipresidenzialismo alla francese ( dopo un anno di altalena tra quel modello e il premierato alla Westminster) sostenendo che erano troppo scarni i poteri presidenziali previsti, in particolare in politica estera. E questo episodio storico dice molto del modello presidenziale che le destre varerebbero: molto più simile ai superpoteri della Casa Bianca - bilanciati però a Washington da Commissioni del Congresso e del Senato che non sono certo quelle italiane- che non al ddl dei meloniani, che prevede anche la stramberia di un presidente della Repubblica eletto sí a suffragio universale diretto, ma su una rosa di candidati individuati e selezionati in Parlamento: come dire, un suffragio universale su indicazione parlamentare ( e non politica, come avviene nel resto del mondo). Come che sia, o per meglio dire, come che potrà essere, il rischio che venga mutata unilateralmente l’intera architettura istituzionale con correlative dimissioni di Mattarella esiste, in caso di vittoria stracciante di Meloni- Salvini- Berlusconi. L’argomento è stato sollevato una decina di giorni fa da dal centrosinistra di Enrico Letta ( e Nicola Fratoianni), ma l’allarme circolava da settimane in un giro di mail riservate tra politici, opinion maker, economisti, e anche alcune alte cariche dello Stato. Le preoccupazioni, in sostanza, son quelle poi esplicitate dall’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky: modifiche costituzionali à la carte, incongrue tra loro e che renderebbero irriconoscibile la democrazia italiana e ne peggiorebbero il funzionamento, come varie volte si è tentato di proporre nella storia repubblicana. Ma stavolta con qualcosa di più grave: nelle lunghissime discussioni che avvennero alla Costituente sul modello presidenziale si scelse invece il modello parlamentare perché esso impediva “l’uomo solo al comando”, tanto caro alla destra di oggi. La Repubblica Democratica italiana nacque tra tutte le forze politiche che avevano sconfitto il nazi- fascismo, e contiene in sé tutti gli antidoti per future riproposizioni di quel modello di iperconcentrazione di poteri in una mano sola. Le Costituzioni poi non sono solo il patto che identifica i cittadini di una nazione ( «Sono americano perché mi riconosco nella Costituzione», come dicono oltreoceano, laddove modificarla è infatti enormemente più complesso che da noi). Le Costituzioni sono anche e soprattutto figlie della Storia di una nazione, e testimonianza di una identità nazionale, E quella italiana si può modificare, ai sensi dell’articolo 138 e possibilmente chiamando ad esprimersi i cittadini. Ma tutto sconsiglia di tentare di stravolgerla unilateralmente.