Pasquale D’Ascola è il nuovo primo presidente della Corte di Cassazione. Lo ha deciso il plenum del Consiglio superiore della magistratura, al termine di una votazione sul filo di lana: 14 voti per l’aggiunto contro i 13 andati al segretario Stefano Mogini. Grande incertezza fino all’ultimo, dunque, e nessuna “unanimità”, come era stato più volte auspicato dal capo dello Stato per una nomina di tale importanza.

Un auspicio confermato nelle ore precedenti al voto dai due indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, che con una mossa a sorpresa hanno convocato una conferenza stampa per annunciare l’astensione. Una forma di protesta, hanno sottolineato, contro quel Testo unico ora vigente che consentirebbe, con le sue regole, di mantenere intatto il nominificio svelato dallo scandalo Hotel Champagne. «La proposta alternativa non deve essere letta – come sovente una narrazione approssimativa e interessata, dimentica della natura composita del Consiglio superiore, che è organo rappresentativo per scelta del costituente di ogni sensibilità valoriale e culturale, laica e togata, presente del Paese – in termini di fragilità o addirittura di spaccatura del Consiglio stesso», ha invece sottolineato il vice presidente Fabio Pinelli, secondo il quale le divisioni rientrano nella «legittima diversità di vedute proprie degli organi di garanzia nelle liberal democrazie».

Unanimità o meno, il voto per il posto occupato dal primo marzo 2023 da Margherita Cassano - prima donna a rivestire quel ruolo - dimostra come due magistrati dai profili professionali diversissimi possano entrambi concorrere per il vertice del principale ufficio giudiziario del Paese. Alla fine quindi il Csm, rispetto a quello dell’organizzatore con esperienze anche in campo internazionale, come sottolineato dalla laica Claudia Eccher relatrice della proposta Mogini, ha optato per il profilo del giurista a tutto tondo incarnato da D’Ascola ed evidenziato dal laico Ernesto Carbone, che ha molto insistito anche sulla sua maggiore esperienza di legittimità e di presidente di sezione.

Mogini, a differenza di D’Ascola, ha ricoperto incarichi internazionali quanto mai diversificati, tra cui quello di magistrato di collegamento in Francia e principato di Monaco e di consigliere giuridico presso le Nazioni Unite, oltre ad essere stato capo di gabinetto dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. «Sotto la direzione di Mogini sono stati predisposti 240 decreti organizzativi, alcuni dei quali hanno introdotto innovazioni rilevanti come il rafforzamento del gruppo con la Corte di giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo e l’istituzione dell’ufficio del referente dello spoglio delle sezioni civili», ha ricordato il togato Eligio Paolini. «Questa funzione, che costituisce un indicatore principale, ha richiesto visione strategica, competenze relazionali, conoscenza profonda dell’ordinamento e capacità di sintesi tra diritto e organizzazione», ha poi aggiunto Paolini.

Mogini, va detto, si è anche attivato nell’ultimo periodo per il ritorno dei brigatisti che si erano rifugiati in Francia. «La Cassazione non è soltanto un ufficio di rilevanza strategica nella giurisdizione italiana, è un ufficio di rilevanza strategica nella geografia culturale del Paese», sono state invece le parole di Antonello Cosentino, a favore della candidatura di D’Ascola. «Dalla Cassazione passa prima o poi tutta la cronaca e tutta la storia del Paese» e «il mutamento della società italiana», ha proseguito il giudice progressista, ricordando che D’Ascola «ha attraversato in lungo e largo l’intera storia del diritto civile, ha interloquito per decenni con l’Avvocatura, ha costruito in dialogo continuo con l’Accademia».

Voci fuori dal coro, appunto, quelle di Mirenda e Fontana. Nel mirino dei due magistrati, astenuti come l’intero Comitato di presidenza, l’articolo 23, che «si presta a interpretazioni radicalmente diverse tra loro eppure tutte compatibili. Come non rilevare che la medesima disciplina ha consentito, in modo legittimo e plausibile, di individuare i due candidati del cui valore nessuno discute e che tuttavia sono tra loro diversissimi per storia professionale e curriculum?», ha precisato Fontana, che nel suo discorso ha anche citato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quando, dopo lo scandalo dell’Hotel Champagne, parlò di «modestia etica».

«Noi riteniamo fondamentale che la discrezionalità del Consiglio nell’esercizio dei poteri di nomina debba essere limitata da autovincoli rigorosi e stringenti, quale decisivo rimedio per rendere maggiormente leggibili, e certamente più trasparenti, le decisioni consiliari e per evitare il rischio del perpetrarsi di derive connotate dalla prevalenza delle logiche di appartenenza e caratterizzate da quella che è stata definita “ modestia etica” - ha dichiarato -. Condotte che hanno leso profondamente l’onorabilità e il prestigio del governo autonomo della magistratura». Da qui la proposta di un Testo unico che «vincolasse il plenum a parametri effettivamente stringenti», proposta bocciata per un solo voto, in favore di un altro testo sostanzialmente «privo di limiti, per gli uffici di grandi dimensioni, per i direttivi di legittimità e per gli incarichi direttivi superiori ed apicali di legittimità».

E a margine non è mancato il commento di Mirenda: «Secondo quella che oramai è tradizione per le nomine apicali, anche oggi abbiamo assistito ad un’imbarazzante spaccatura a metà del Consiglio - ha dichiarato -. Non sfugge a nessuno che - con le stesse regole, deliberatamente di contenuto quanto mai vago - possono essere proposti candidati assolutamente diversi e non sovrapponibili. E sempre, purtroppo, secondo salda tradizione, il metodo assicura alle correnti consiliari di votare “il proprio”, con la consueta irridente disinvoltura. La verità è nuda: senza sorteggio non si va più da nessuna parte. Nihil novi sub sole».

Una presa di posizione, quella dei due indipendenti, che ha infiammato le chat, con dure accuse rivolte dai magistrati di Area ai colleghi. «Altro che correnti! - ha tuonato via agenzie il consigliere Marcello Basilico - La posizione di Fontana e Mirenda, che fingono di non volere decidere proprio nel momento in cui sono chiamati ad assumere una delle decisioni più rilevanti del loro mandato, dimostra quanto sia pericolosa la soluzione futura del sorteggio e l’individualismo irresponsabile che ne deriverebbe. È mortificante per l’istituzione che nel momento in cui si deve scegliere la figura più idonea a presiedere la Cassazione e vi siano in corsa due candidati di alto valore, per unanime riconoscimento - sottolinea Basilico - qualcuno pensi di assumere posizioni dimostrative in una logica tutta personalistica».

Ma alla fine a mettere il sigillo è stato Mattarella. La «autonomia e indipendenza della giurisdizione della giurisdizione rispetto a ogni altro potere» sono principi «irrinunziabili», nello spirito «dei valori fondamentali della nostra Costituzione», ha detto salutando Cassano, interprete di quei valori, da tutti elogiata e ringraziata con commozione. Il Capo dello Stato, che non ha partecipato al voto - ricordando di averlo fatto in un solo caso, ovvero proprio per la nomina di Cassano -, ha auspicato «tempestività e trasparenza» nelle decisioni del Csm. «Siamo tutti consapevoli che queste devono essere fondate su criteri ed elementi di valutazione al di sopra di pregiudiziali divisioni di parte», ha sottolineato. Una raccomandazione, la sua, che risuona come un monito per il futuro.