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L’avvocato Sebastiano Sartori non è più il difensore di fiducia di Alessandro Impagnatiello, indagato per l’omicidio di Giulia Tramontano. Prima della decisione di rinunciare al mandato difensivo, il legale ha incontrato Impagnatiello nel carcere San Vittore. Contattato dal Dubbio Sartori è stato chiaro: «Ho rinunciato al mandato per motivi connessi al rapporto fiduciario, dunque, coperti dal segreto professionale. Null'altro». Sono seguiti gli adempimenti connessi alla rinuncia, vale a dire la comunicazione al pm che indaga sull’omicidio e al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Monza.
Nella stessa giornata è intervenuta la Camera penale del capoluogo brianzolo. I penalisti condannano, prima di tutto, gli attacchi ai quali è stato sottoposto l’ormai ex difensore di Impagnatiello. «I tragici fatti di Senago – si legge in una nota - hanno fornito nuova occasione per inondare i social di intimidazioni e minacce nei confronti dell’avvocato che ha assunto la difesa fiduciaria dell’indagato. La lettura di certe esternazioni lascia francamente interdetti, per la ferocia dei commenti e il disprezzo del ruolo del difensore, invitato a farsi da parte e a non rendersi “complice” dell’assassino, peraltro reo confesso. Tra i tanti, ne scegliamo uno, per la sua apparente compostezza che fa da contraltare alla gravità del contenuto: “Le chiedo di riflettere sul ruolo che sta svolgendo e sul messaggio che sta trasmettendo alla società. Difendere un individuo responsabile di una simile atrocità non solo è moralmente riprovevole ma può anche minare la fiducia della comunità nel sistema giudiziario”».
Spesso il difensore viene assimilato al proprio assistito. Questa volta è capitato a Sartori. Su questo la Camera penale di Monza reagisce con compostezza e fermezza: «Nulla di nuovo, purtroppo. L’identificazione del difensore con il proprio assistito e, dunque, con il reato commesso è una costante che trova il proprio apice proprio in occasione di crimini efferati, i più adatti ad alimentare sentimenti di ritorsione e di vendetta. La Camera penale di Monza esprime la propria solidarietà al collega e coglie l’occasione per rinnovare una riflessione in ordine al ruolo del difensore nel processo penale».
I penalisti sottolineano inoltre «l’analfabetismo costituzionale che ispira certe esternazioni, e che ignora non solo la centralità della difesa nel sistema giudiziario, ma anche gli antecedenti storici che hanno condotto a ritenere indispensabile la presenza di un difensore a fianco dell’indagato, a prescindere dalla gravità del reato di cui è accusato». «Modelli diversi – prosegue la nota della Camera penale -, che vedano la giustizia affidata in via esclusiva e senza contraddittorio al potere dello Stato o, ancor peggio, all’iniziativa delle vittime, affondano le proprie radici nei secoli bui della storia dell’uomo».
In un post su Facebook il magistrato Sebastiano Ardita riflette sui possibili esiti della vicenda giudiziaria che riguarderà Impagnatiello. «L’assassino – scrive - è reo confesso e fin da subito, sulla base della riforma Cartabia, potrà chiedere di avviare percorsi di giustizia riparativa. Se sarà condannato ed avrà qualche attenuante o beneficio, tra liberazione anticipata e misure alternative-liberazione condizionale, dopo una decina di anni di carcere tornerà libero per rifarsi una vita, come è già accaduto per altri. Giulia invece rimarrà sottoterra, viva solo nel ricordo e nel dolore dei suoi cari, vittima di un crimine efferato in un sistema penale che non fa più paura».
L’omicidio di Giulia Tramontano ha scatenato un profluvio di dichiarazioni da più parti. Non solo giuristi, ma anche politici, uomini e donne dello spettacolo non hanno resistito alla tentazione di commentare i fatti di Senago. Nel frullatore mediatico finisce di tutto. A Domenica In, si consumano due passaggi. Nell’intrattenimento pomeridiano, rivolgendosi a milioni di telespettatori, Mara Venier richiama le parole della madre di Alessandro Impagnatiello e con tono ieratico afferma: «Signora, lei ha fatto un'intervista in cui dice: “Perdonatemi, perché mio figlio è un mostro”. Sì, signora. Suo figlio è un mostro».
La gogna mediatica inizia a lavorare e il tribunale dei talk show emette la propria sentenza. Poco dopo, però, “Zia Mara” è costretta a fare marcia indietro, cercando di rimediare: «Non volevo essere critica verso la famiglia di Alessandro Impagnatiello. Se ho sbagliato, chiedo scusa alla mamma». Troppo tardi, perché nel frattempo i commentatori si erano già scatenati sui social, condividendo il “Venier pensiero”. Un’amplificazione incontrollabile.
Sempre domenica il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, è intervenuto su un aspetto tecnico dell’omicidio Tramontano, annunciando alcuni interventi legislativi. «Il giudice – ha affermato Salvini alla festa della Lega di Treviglio - per il momento non ravvisa crudeltà e premeditazione. A maggior ragione, approveremo una riforma della giustizia che in questo paese serve come il pane. Chi sbaglia paga, e anche il giudice se sbaglia paga».
Sull’inasprimento delle pene il dibattito si è riacceso qualche settimana fa. Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, ha depositato una proposta di legge di modifica degli articoli 88 e 89 del codice penale, che disciplinano l'infermità e la seminfermità mentale. Il deputato di FdI è intervenuto su un altro omicidio, quello commesso da Alberto Scagni, che il 1 maggio del 2022 uccise a Genova la sorella. «Scagni non è matto – ha commentato Antoniozzi, presentando la sua proposta di legge -, non aveva alcun sintomo psicotico e non è accettabile la narrazione di uno Stato colpevole e assente».
Dichiarazioni, forse, pronunciate per ottenere like sui social e non ad incidere nella realtà.