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«Oggi la Commissione Juri ha deciso di difendere la mia immunità e l'indipendenza del Parlamento, respingendo la richiesta avanzata dal regime ungherese. È un segnale importante. Ho piena fiducia che il Parlamento confermerà questa scelta nella plenaria di ottobre, affermando la centralità dello Stato di diritto. Difendere la mia immunità non significa sottrarmi alla giustizia, ma proteggermi dalla persecuzione politica del regime di Orbán. Le autorità italiane restano libere di aprire un procedimento a mio carico, come io stessa auspico».
Gioisce Ilaria Salis, a cui è bastato un solo voto per superare lo scoglio della Commissione Juri del Parlamento europeo, che ha bocciato con 13 voti contro 12 la revoca dell’immunità chiesta dall’Ungheria. Una richiesta palesemente politica, avanzata dal premier Viktor Orban dopo il discorso in aula col quale l’eurodeputata di Avs, in sua presenza, aveva definito il suo governo «un regime illiberale e oligarchico». Parole pronunciate da chi ha passato 15 mesi rinchiusa in una cella, in condizioni disumane e in violazione di qualsiasi diritto.
Il primo dato evidente è che a determinare il risultato è stata la spaccatura dei popolari. Stando alla conta, a votare contro potrebbero essere stati i tedeschi e i polacchi, con almeno un paio di parlamentari che, complice il voto segreto, si sono distaccati dal relatore - anche lui del Ppe - Adrián Vázquez Lazara. Un voto importante, ma solo il primo passo: l’aula si esprimerà il 7 ottobre, e gli equilibri sono ancora instabili.
La sinistra è schierata con Salis, l’estrema destra contro. Decisivi saranno proprio i popolari, che contano 188 voti. Salis può contare su circa 312 voti tra sinistra e Renew, contro i 187 dell’estrema destra. Basterà che alcune decine di popolari si schierino contro Orbán (non necessariamente con Salis), come già avvenuto in Commissione, non solo per Salis, ma anche per il principale oppositore di Orban, Peter Magyar, un popolare.
Anche in caso di bocciatura della revoca, il governo ungherese potrebbe fare ricorso. Vázquez Lazara lo ha ricordato: «Questo voto rappresenta un brutto precedente. La posizione giudiziaria di Salis è più debole. Prevedo che l'Ungheria presenterà ricorso alla Corte di giustizia Ue, e che l'immunità possa essere revocata dal tribunale di Lussemburgo». In caso di revoca, invece, Salis finirebbe nuovamente nelle famigerate carceri ungheresi, le cui coordinate sono state indicate all’eurodeputata italiana, con un inquietante post su X, da Zoltan Kovacs, portavoce di Orban, in risposta al post col quale Salis annunciava il voto sull’immunità.
Non di certo un buon biglietto da visita per un Paese che si ritiene attento allo Stato di diritto, ma che dal 2018 è sotto procedura di infrazione proprio per aver violato le regole di base dell’Ue. Ed è proprio Kovasc a non mollare la presa: «È incomprensibile e scandaloso che l’Europarlamento legittimi il terrorismo di estrema sinistra - ha dichiarato dopo il voto -. Non dimenticheremo e non ci arrenderemo. Ilaria Salis è una pericolosa criminale che merita di stare in prigione».
Niente presunzione d’innocenza, e c’era da aspettarselo. Più sorprendente — almeno in teoria — la reazione di chi in Italia si definisce garantista, almeno a modo suo. Lega e Fratelli d’Italia invocano il carcere prima del processo, come se il voto sull’immunità lo escludesse del tutto, un po’ come nel caso Almasri (ma in quel caso l’immunità va bene eccome). «Una eurovergogna targata sinistra e traditori del centrodestra, che usano la giustizia come un manganello - si legge in una nota della Lega -. I deputati del Ppe dovranno spiegare ai propri elettori il perché di un voto miseramente politico. Una scelta che invia un segnale sbagliato ai cittadini: la legge non è uguale per tutti». A rinforzare il messaggio Matteo Salvini, che con il classico post corredato da foto ha tuonato «vergogna, vergogna, vergogna. Poltrona salva, dignità persa».
Il vicepresidente della Commissione Juri, Mario Mantovani, di FdI, non è stato da meno. E pur avendo dichiarato, nei giorni scorsi, di conoscere la giustizia e l’ingiustizia, ha deciso di applicare la presunzione di colpevolezza, in barba alla Costituzione. «La commissione parlamentare ha legittimato la violenza», ha detto, anche se ancora tutta da dimostrare, e di «proteggere chi viola i diritti». Ma Calenda, sulla carta un moderato, supera tutti a destra: «Il problema è Orban ma è anche candidare una persona che va in giro a spaccare teste», ha dichiarato. Il processo, insomma, non serve.
A sinistra, invece, la gioia è palpabile. «Una decisione auspicata e importante, in difesa dello stato di diritto e del giusto processo», ha esultato la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno (Pd). «Per noi – commentano Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs, che hanno tirato fuori dal carcere Salis con la candidatura - quella di Ilaria è stata ed è una battaglia per lo stato di diritto e la democrazia in Europa».
Il sì all’immunità, ha aggiunto l’eurodeputato di Renew Europe Sandro Gozi, «smaschera le violazioni dello stato di diritto del regime di Viktor Orban». Caustica Maria Elena Boschi: «La Lega e il governo Meloni applicano due pesi e due misure - ha dichiarato intervistata da Massimo Giletti -, negano garanzie a una cittadina italiana di avere un processo equo, ma liberano il generale libico Almasri, arrestato in Italia, rimandandolo a casa a continuare a commettere crimini».
Dal punto di vista tecnico, hanno spiegato gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini, difensori di Salis, «non può essere garantito in un caso così politico dove ci sono pressioni da parte del governo un processo equo in Ungheria». La Commissione, dunque, avrebbe interpretato «correttamente la normativa in tema di immunità parlamentare». Salis, hanno aggiunto, «ha chiesto un processo equo e per alcune questioni non poteva svolgersi in Ungheria», chiedendosi «cosa impedisca all’Italia di portare in Italia un processo a una cittadina italiana, visto che la Germania sta giudicando in Germania i cittadini tedeschi imputati nei fatti di Budapest».
Tutto, dunque, è nelle mani dei popolari. E speriamo che ascoltino il consiglio di Enrico Costa di Forza Italia, alleato, in casa, di FdI e Lega, ma dalle idee diametralmente opposte in fatto di garantismo. Che non si applica a piacere. «Su questi temi non devono esistere logiche dì schieramento - ha scritto su X - , ma solo principi di civiltà giuridica. Quei principi che i colleghi Avs di Salis in Italia spesso calpestano, quando riguardano gli avversari politici».