Mentre la giustizia italiana fatica a centrare gli obiettivi del Pnrr e il governo cerca di correre ai ripari varando decreti urgenti per accelerare i processi, si moltiplicano per i magistrati le richieste di “fuori ruolo” e di incarichi retribuiti per consulenze giuridiche. L’ultimo caso in ordine di tempo ha riguardato Annalisa Imparato, sostituto procuratore a Santa Maria Capua Vetere, che ha chiesto di poter svolgere l’incarico di consulente giuridico presso il Comitato per la legislazione del Senato: 80 ore di lavoro annue e un compenso fisso di 2.336 euro al mese. La Prima commissione del Csm ha però espresso parere contrario, rilevando che un compenso mensile «in misura fissa e apparentemente forfettaria» possa rappresentare un rischio, anche solo d’immagine, per i valori di indipendenza e imparzialità del magistrato. Sul punto, però, questa settimana in Plenum è stato chiesto un approfondimento. Se ne riparlerà dunque più avanti.

Pugliese di origine, Imparato è magistrato dal 2017. Alla Procura di Santa Maria Capua Vetere si è occupata di contrasto alla violenza di genere, come referente della sezione “Fasce deboli”. Nel 2024 è stata inserita da Fortune Italia tra le 50 donne più potenti dell’anno. Già consulente per la formazione della Difesa, editorialista, è stata relatrice al G7 di Siracusa sul tema dell’intelligenza artificiale e della sostenibilità agroalimentare. Una carriera indubbiamente brillante, ma che solleva comunque interrogativi sulla compatibilità di un incarico retribuito in Senato con il ruolo di magistrato in servizio attivo. La vicenda, va detto, si inserisce in un contesto molto controverso: quello dei magistrati “fuori ruolo”, distaccati presso ministeri, Autorità indipendenti o organismi internazionali. La circolare del Csm che regola questi incarichi — recentemente modificata — ha di fatto semplificato le autorizzazioni, che vengono spesso concesse con motivazioni generiche, senza una valutazione effettiva del curriculum o della pertinenza. Ora, accanto a questo meccanismo, si affacciano anche le consulenze giuridiche a forfait, come quella destinata al Comitato per la legislazione, un organo che si occupa di migliorare la qualità delle norme, ma i cui pareri sono meramente consultivi e spesso disattesi.

Le statistiche parlano chiaro: solo il 22 percento dei pareri è stato accolto da governo o dal Parlamento. Sulla questione nelle scorse era intervenuto Enrico Costa (Forza Italia), deputato e membro della Commissione giustizia di Montecitorio, favorevole ad un provvedimento per bloccare fino al 30 giugno 2026 le nuove autorizzazioni ai fuori ruolo. Entro il prossimo giugno, infatti, l’Italia dovrà ridurre del 40 per cento i tempi del processo civile e abbattere del 90 per cento l’arretrato: traguardi ancora molto distanti. Per recuperare terreno si era anche pensato di istituire una task force di 500 magistrati che, su base volontaria, avrebbero dovuto redigere in nove mesi una cinquantina di sentenze da remoto, un piano “cottimista” – anticipato mesi fa dal Dubbio –, sostenuto da 15 milioni di euro in incentivi che non ha avuto grande successo, con meno della metà di candidature giunte al Csm. La misura, pensata per smaltire i fascicoli, evidenzia però ancora una volta il grandissimo paradosso di un sistema in cui si chiedono prestazioni straordinarie ai magistrati, mentre altri — pur di altissimo profilo — ottengono incarichi retribuiti al di fuori della funzione giurisdizionale. Un cortocircuito su cui l’Anm non ha mai preso una posizione netta. Durante un recente Plenum del Csm, il consigliere togato Andrea Mirenda aveva espresso una posizione netta: «In un momento così delicato, i magistrati avrebbero dovuto dare un segnale, anche solo simbolico. Invece non è stato così».