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GINO CECCHETTIN PRESIDENTE FONDAZIONE GIULIA CECCHETTIN
Dopo le polemiche per la condanna all’ergastolo di Filippo Turetta senza le attenuanti della crudeltà e dello stalking, si è detto e scritto che bisognava distinguere tra il piano giudiziario e quello “culturale”. E per la stessa logica, ora che il processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin si è chiuso definitivamente, si può dire che l’unica “sentenza” che abbia senso leggere alla società in ascolto, l’ha scritta il papà della 22enne uccisa dall’ex fidanzato l’11 novembre 2023.
«Non esiste una giustizia capace di restituire ciò che è stato tolto, ma esiste la consapevolezza che la verità è stata riconosciuta e che le responsabilità sono state pienamente accertate», spiega Gino Cecchettin. Con una nota che arriva all’indomani della notizia, diffusa dagli stessi legali della famiglia, della rinuncia da parte della procura generale di Venezia di impugnare la condanna all’ergastolo emessa nei confronti di Turetta.
La decisione rende definitivo il verdetto di primo grado e mette la parola fine a una vicenda che ha scosso profondamente il Paese, dopo la rinuncia all’appello anche da parte del 25enne detenuto nel carcere veronese di Montorio. Il quale, attraverso una lettera dello scorso ottobre, aveva spiegato di accettare in pieno la pena che gli è stata comminata, assumendosi «piena responsabilità per quello che ho fatto di cui mi pento ogni giorno sinceramente dal profondo del cuore».
Inizialmente la procura aveva deciso di impugnare comunque la sentenza, con l’obiettivo di vedere riconosciute l’aggravante della crudeltà e quella dello stalking, legata nel primo caso all’interpretazione delle 75 coltellate inflitte alla vittima, che a parere dei giudici furono frutto di «inesperienza». Resta cristallizzata invece la premeditazione, già riconosciuta in primo grado, e contestata dalla difesa nel ricorso che è stato poi ritirato.
«Verrebbe naturale pensare di continuare a pretendere giustizia, di cercare ulteriori riconoscimenti della crudeltà o dello stalking. Ma continuare a combattere quando la guerra è finita è, in fondo, un atto sterile. La consapevolezza che è il momento di fermarsi, invece, è un segno di pace interiore e di maturità, un passo che andrebbe compiuto più spesso», scrive ancora Gino Cecchettin.
«La giustizia ha il compito di accertare i fatti, non di placare il dolore. Quel compito spetta a noi: a chi resta, a chi decide di trasformare la sofferenza in consapevolezza e la memoria in responsabilità. Come padre, ho scelto da tempo di guardare avanti, perché l’unico modo per onorare Giulia è costruire, ogni giorno, qualcosa di buono in suo nome», prosegue la nota. Con parole che confermano l’impegno sociale contro la violenza di genere assunto dalla famiglia con la Fondazione Cecchettin.
«Giulia - chiosa il papà - merita di essere ricordata non solo per la tragedia che l’ha colpita, ma per ciò che ha rappresentato: la sua dolcezza, la sua intelligenza, la sua voglia di vivere e di amare in libertà. Il dolore non si cancella, ma può diventare seme. Mi auguro che tutti impariamo a riconoscere e a respingere ogni forma di violenza, e che la cultura del rispetto diventi un impegno condiviso, nella quotidianità e nelle istituzioni. Solo così il sacrificio di Giulia potrà generare un cambiamento reale, profondo, duraturo».


