Che la separazione delle carriere sia un po’ figlia del caso Palamara è innegabile. Fu con quella vicenda, infatti, che la magistratura si vide esposta al pubblico ludibrio, tanto da spingere il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a parlare di «modestia etica» e a causare la crisi di fiducia che ha consentito alla politica di spingere sull’acceleratore della riforma. E ora, a distanza di sei anni, il Consiglio superiore della magistratura presenta - nuovamente - il conto all’ex Zar delle nomine. Non appena - fa notare - ricomincia a parlare, dichiarando di essere pronto a svelare altri segreti della magistratura finiti sotto al tappeto come la polvere e schierandosi a sostegno della riforma targata Carlo Nordio.

Non basta la radiazione dalla magistratura. Non bastano i patteggiamenti per un anno e quattro mesi complessivi. No, Palazzo Bachelet vuole di più. E si propone di perseguire in sede civile Palamara, per danno d’immagine e danni da disservizio pari a poco più di 200mila euro. Il parere, richiesto l’11 dicembre scorso, è stato pubblicato solo pochi giorni fa sul sito del Csm e approderà in plenum il 19 novembre. Dalle 10 pagine che lo compongono emerge intanto un dato finora rimasto ignoto: l’accordo raggiunto con la Corte dei Conti, a seguito del quale Palamara ha versato 64.500 euro a testa a ministero della Giustizia e Csm per i danni patiti dalla Pubblica amministrazione a causa di questa vicenda (la richiesta della procura generale era di oltre 500mila euro). Al Csm, però, sembra non bastare. Ed è per questo motivo che la delibera propone di agire in sede civile per racimolare altri soldi. Il doppio binario, dice l’Ufficio studi, è possibile e non sussisterebbe nessuna violazione del principio del ne bis in idem: mentre la Corte dei Conti è intervenuta a tutela dell’interesse pubblico generale in ottica «sanzionatoria», il giudizio civile è finalizzato a proteggere l’interesse particolare della singola Amministrazione, in funzione «riparatoria» ed «integralmente compensativa». L’Ufficio Studi cita i molteplici pareri rilasciati nel corso degli anni, che evidenziano la sussistenza di un danno alla funzionalità dell’Organo, la lesione dell’immagine, «integrata dal grave pregiudizio al prestigio dell’istituzione e alla credibilità della sua complessiva azione di governo autonomo da condotte (...) di asservimento della funzione consiliare e giurisdizionale al perseguimento di interessi privati». Tali condotte, insomma, «in concreto hanno incrinato la fiducia verso l’istituzione consiliare e l’imparzialità e la correttezza dell’azione di governo autonomo». Ora, afferma l’Ufficio Studi, «sembra potersi prospettare (...) che il comportamento del dott. Palamara abbia concretizzato una lesione della funzionalità dell’ente, quale Organo di governo autonomo, che all’epoca componeva» e che «la sua condotta abbia determinato un effetto di discredito ed un sentimento di sfiducia dei cittadini nei confronti dell’Organo medesimo». Sebbene la sentenza di patteggiamento non abbia valore di prova piena, il Csm, continua il parere, può comunque usarla - insieme alla sentenza contabile, agli atti d’indagine e alla rassegna stampa - per sostenere in sede civile la richiesta di risarcimento dei danni residui che ritiene causati da Palamara. La notizia viene accolta con sorpresa da Palamara. Che però decide di rinunciare allo scontro verbale, dichiarandosi pronto ad affrontare l’ennesima battaglia. «Nessuna dichiarazione polemica, ma molta serenità e tranquillità - commenta al Dubbio -. Il parere dell’Ufficio Studi, secondo cui il Csm può agire in sede civile nei miei confronti, si basa sul presupposto che io avrei trafficato, nel corso della mia attività, gli allora componenti del Csm. Tuttavia tale ipotesi è stata smentita dal provvedimento della procura generale di Perugia, che ritiene invece che io sia stato sul punto vittima di calunnia. Tale provvedimento mi riservo di inviarlo direttamente al Csm. Non ho nessuna difficoltà a difendermi in qualunque sede sulla linearità del mio comportamento e sul fatto che tutta la vicenda che mi ha riguardato sia basata su una calunnia, come hanno riconosciuto gli stessi giudici, che ritengo, evidentemente, sia sfuggita ai componenti dell’Ufficio Studi». Time out, dunque? Nient’affatto: «È ovvio che tuttavia, in questo periodo, continuerò liberamente ad esprimere le mie idee e opinioni anche sulla riforma in atto - conclude Palamara -, ritenendo che in uno Stato democratico la libertà di espressione non possa essere tolta a nessuno». Insomma, nessun effetto silenziatore.