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ILARIA SALIS EUROPARLAMENTARE
«La valutazione di una richiesta di revoca dell’immunità parlamentare deve basarsi esclusivamente sui criteri oggettivi stabiliti dal Parlamento europeo, e non su strategie o giochi politici». Tuttavia, chi sperava in un voto davvero tecnico, come il relatore Adrian Vazquez Lazara, popolare e autore del rapporto sulla richiesta di revoca dell’immunità dell’eurodeputata di Avs Ilaria Salis, rischia di rimanere deluso.
Ascoltando gli interventi che precedono la riunione della commissione Affari giuridici, la sensazione è chiara: nulla, in questa vicenda, sembra meno tecnico e più politico di questo voto. Ne è un esempio lampante la dichiarazione di Mario Mantovani, europarlamentare di Fratelli d’Italia: «Voterò per la revoca dell’immunità parlamentare. È giusto che a decidere siano i giudici».
Poco importa che Ilaria Salis sia stata detenuta per oltre un anno in condizioni degradanti in Ungheria, liberata solo dopo l’elezione a Strasburgo. Poco importa che la violenza subita fosse stata documentata dai media, con immagini che hanno suscitato indignazione in Italia e oltre. E poco importa che l’Ungheria stessa sia in procedura di infrazione per violazione dello Stato di diritto. Il garantismo nel processo, tanto declamato dalla destra di Fratelli d’Italia, sembra valere solo nel Belpaese, dove i diritti fondamentali - almeno per ora - non vengono messi a rischio per legge dello Stato.
Non importa: si può ben votare – ed è legittimo – per l’immunità di Daniela Santanché, che pure affronterebbe il processo per truffa ai danno dello Stato da donna libera, ma non per quella di Salis, accusata di aver picchiato un neofascista che pure afferma di non averla riconosciuta tra gli aggressori.
A rafforzare la posizione di FdI è intervenuto Giovanni Donzelli, secondo il quale «se Salis ha fatto le sue scelte con coraggio deve rinunciare all’immunità parlamentare. E se non lo fa, il Parlamento deve votare a favore della rinuncia». Il tutto mentre il premier ungherese Viktor Orbán, sulla scorta delle dichiarazioni di Donald Trump, dichiara “Antifa” - qualunque cosa voglia significare - un’organizzazione terroristica. «Sono venuti anche in Ungheria, hanno picchiato persone per strada, poi sono diventati membri del Parlamento europeo e da lì ci danno lezioni sullo stato di diritto», ha dichiarato il premier. Ecco quindi come l’argomento della legalità diventa strumento di vendetta politica: Salis, bersaglio designato, diventa emblema di un conflitto ideologico più che di una questione giudiziaria oggettiva.
A sinistra, il Partito democratico non manca di ricordare le contraddizioni della destra, tirando fuori il caso Almasri, il torturatore libico rispedito a casa con aereo di Stato. Antonella Forattini, capogruppo in Giunta, ha chiesto: «Donzelli voterà contro l’immunità richiesta da Nordio, Piantedosi e Mantovano? Se non lo farà, avremo il classico doppiopesismo: feroce contro i nemici, indulgente verso gli amici». Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, ha ricordato che le accuse ungheresi – lievi lesioni e affiliazione a un’organizzazione antifascista – sono state aggravate dopo i fatti, a scopo punitivo. Orbán, osserva Picierno, segue metodi repressivi che ricordano quelli di Putin: colpisce dissidenti, stampa indipendente e società civile. Difendere l’immunità di Salis, dunque, non sarebbe solo un atto di solidarietà verso un eurodeputato, ma significherebbe tutelare l’autonomia delle istituzioni europee e riaffermare i principi fondamentali di un giusto processo, pene proporzionate e giustizia indipendente.
Tuttavia, l’incoerenza regna sovrana. Quando toccò a Eva Kaili, eurodeputata socialista, subire un trattamento degradante in carcere senza garanzie difensive durante il Qatargate, la difesa dei diritti evaporò. Kaili era ormai “infetta”, dal momento che il Qatargate sembrava pronto ad abbattersi su ogni eurodeputato di sinistra. Così tutti si trasformarono in giustizialisti: via l’immunità, senza nemmeno ascoltare le sue ragioni. L’unico barlume di coerenza potrebbe offrirlo Forza Italia, almeno a voler interpretare con ottimismo le parole del segretario Antonio Tajani: «Non credo che la Salis sia una terrorista. Ha idee molto diverse dalle mie, c’è un processo che la riguarda, ma non mi risulta che sia una terrorista», ha commentato. Aggiungendo però che non tocca a lui «fare commenti sulle scelte di altri Stati».
Parole che lasciano lo scenario apertissimo: Forza Italia sembra non aver preso una decisione definitiva, ma sarà proprio il Partito popolare europeo l’ago della bilancia, essendo anche il gruppo più grande. Idealmente, dovrebbe essere composto da parlamentari formati secondo principi liberali, ma Forza Italia, tradendo anche lo spirito di Silvio Berlusconi, potrebbe decidere di usare il caso non come una questione giudiziaria, ma come strumento politico.
La partita politica si gioca quindi su più fronti. La commissione Juri deve decidere se esistono elementi sufficienti per revocare l’immunità, valutando il fumus persecutionis e la gravità dei reati contestati. Ma la partita politica si gioca su più tavoli: da un lato, la richiesta di Budapest di riportare Salis davanti alla giustizia ungherese; dall’altro, il rischio di legittimare un governo accusato di non rispettare lo Stato di diritto. In plenaria, il voto sarà presumibilmente per alzata di mano, senza appello nominale. Ma non è escluso il voto segreto, possibilità che consentirebbe agli eurodeputati di esprimersi liberamente, senza pressioni di gruppo. La revoca dell’immunità diventa così un banco di prova per l’ipocrisia politica: tutti declamano il garantismo, tutti invocano la legalità, ma pochi sono disposti a farne concreta applicazione quando si tratta di avversari politici.
In definitiva, il caso Salis mostra con chiarezza che la retorica del diritto e della giustizia spesso si piega agli interessi dei partiti. La funzione dell’immunità parlamentare – non un privilegio personale, ma uno strumento di tutela della funzione politica – rischia di essere strumentalizzata, strappata via o concessa a seconda della convenienza del momento. Destra e sinistra, pur profondamente diversi per storia e identità, convergono in questo teatrino di ipocrisia, utilizzando il garantismo come un’etichetta da applicare a piacimento.
Il voto di commissione di domani è solo un anticipo: la vera decisione spetterà alla plenaria di ottobre. E lì si vedrà se il Parlamento europeo saprà tutelare non solo Ilaria Salis, ma anche il principio fondamentale per cui la giustizia deve restare al di sopra dei giochi politici, evitando che l’Europa diventi complice delle vendette o dei doppi standard.