La pratica a tutela del magistrato Raffaele Piccirillo sarebbe un tentativo di polemizzare con il governo proprio dopo il voto in Senato sulla separazione delle carriere. Ed è per questo che i consiglieri di centrodestra hanno bloccato i lavori del Csm, col rischio di costringere il vicepresidente Fabio Pinelli a sciogliere il Consiglio.

Il muro contro muro è andato in scena dopo la pausa pranzo, quando il plenum si è trovato davanti la pratica sul sostituto procuratore generale in Cassazione, per il quale il ministro Carlo Nordio aveva evocato un possibile procedimento disciplinare dopo le critiche espresse dalla toga sulla gestione del caso Almasri da parte del ministero. La pratica era stata richiesta da tutti i togati - tranne Maria Luisa Mazzola, Bernadette Nicotra e Maria Vittoria Marchianò, tutte di Magistratura indipendente - e dai laici Roberto Romboli, Michele Papa e Ernesto Carbone. Al rientro in aula, i laici Enrico Aimi, Isabella Bertolini, Daniela Bianchini, Claudia Eccher e Felice Giuffrè hanno letto un documento, per poi abbandonare la seduta, «prerogativa democratica di dialettica assembleare».

Il nocciolo della questione è la velocità dell’iter, estrema, secondo i consiglieri, «di cui a memoria non si ricordano precedenti»: la richiesta è infatti arrivata nel tardo pomeriggio di venerdì e al termine di una riunione straordinaria del Comitato di presidenza del 21 luglio è stata subito inviata in Prima commissione, che «con una “turbo istruttoria”, in poche ore la votava e nella giornata di ieri veniva subito inserita nell’ordine del giorno aggiunto del plenum». Un iter sospetto, secondo i laici, anche se questo Consiglio, in tempi recenti, si è ritrovato più volte ad affrontare con celerità pratiche a tutela a seguito di uscite della maggioranza su provvedimenti della magistratura. «Tutto è avvenuto senza alcun rispetto dell’ordine cronologico di trattazione di pratiche analoghe e delicate», hanno sottolineato i laici, secondo cui il vero scopo era «polemizzare così con il Guardasigilli».

La scelta riguarda la volontà, affermano, di non trascinare il Csm «in un conflitto istituzionale che non si addice alla funzione di garanzia che la Costituzione gli affida, con il rischio di trasformare l’Organo di governo autonomo in un improprio palcoscenico di confronto politico. Il Csm, come abbiamo più volte ricordato, non è la succursale dell’Associazione nazionale magistrati». Dissenso, dunque, sul «metodo» per «tutelare il ruolo ed il prestigio del Csm» da un presunto tentativo di «strumentalizzare le parole del ministro per manifestare il loro dissenso alla riforma della giustizia». Anche perché le esternazioni di Nordio - secondo cui «in qualsiasi Paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri» per Piccirillo dopo le sue affermazioni -, sarebbero «valutazioni personali», delle quali si sarebbe anche potuto discutere, ma che «rientrano a nostro avviso nell’ambito del legittimo dibattito politico e nel libero esercizio del diritto costituzionale di manifestazione del pensiero».

Per i firmatari della richiesta di pratica a tutela, invece, «tali affermazioni, per contenuto e per contesto, eccedono i limiti del legittimo dibattito politico e istituzionale e risultano gravemente lesive dell’autonomia della giurisdizione e della sua immagine presso l’opinione pubblica». Tanto che lo stesso Nordio ha annunciato «iniziative disciplinari» nei confronti di Piccirillo, nonostante si trattasse di «considerazioni tecniche e misurate» nell’ambito di un’intervista.

Le parole di Nordio, dunque, avrebbero come scopo, a dire dei firmatari, quello di «condizionare il diritto di manifestare il proprio pensiero da parte di un magistrato, insinuando un’incompatibilità assoluta tra libertà di parola e l’appartenenza all’ordine giudiziario». Un approccio che «contraddice la previsione dell’articolo 21 della Costituzione». Ma niente da fare: «È assai singolare che la difesa del Csm, in un momento così delicato nel rapporto tra Istituzioni, debba essere assunta dai consiglieri laici eletti dal Parlamento e non anche dalla totalità dei togati», hanno sottolineato i laici. Che si sono detti disponibili a trattare il resto degli argomenti in discussione, ma non la pratica su Piccirillo, facendo dunque mancare il numero legale.

Da qui il caos: dopo l’annuncio, un furente vicepresidente Fabio Pinelli ha sospeso la seduta, rinviandola a domani, dopo una breve pausa. E a margine del plenum, stando ai rumors, avrebbe anche evocato la possibilità di sciogliere il Consiglio, scelta che produrrebbe un effetto del tutto sgradito alla maggioranza di governo: una nuova elezione con le regole pre-separazione delle carriere e, dunque, con un unico Consiglio per i prossimi quattro anni, al posto dei due previsti dalla riforma.

A incoraggiare i consiglieri di centrodestra è il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Plaudo all’iniziativa dei consiglieri laici», ha dichiarato, che avrebbero difeso «la dignità di un organo che fa di tutto per esporsi alla pubblica critica». A dare manforte anche Pietro Pittalis, deputato di FI, che ha parlato di «una scelta politica lucida e responsabile. Non si può accettare che il Csm venga utilizzato per alimentare uno scontro con il governo a poche ore dall’approvazione della riforma della giustizia». Ma la situazione potrebbe evolversi nel giro di poche ore: in previsione di una nuova diserzione - con conseguente assenza del numero legale - tutte le pratiche verrebbero rinviate a settembre, fino ad una possibile paralisi del Csm. L’aria a Palazzo Bachelet è tesa. E tra le stanze di Piazza Indipendenza si vocifera di una possibile interlocuzione del Presidente della Repubblica con i massimi livelli politici del governo per convincere i “ribelli” a tornare in aula.