La morte della giornalista umbra Laura Santi, nona persona in Italia ad accedere al suicidio assistito, apre ancora una volta il dibattito sul fine vita. E offre l’occasione per domandarsi in che modo la legge proposta dalla maggioranza potrà modificare le “regole” già in vigore e incidere sulle scelte dei pazienti.

In assenza di una norma nazionale, infatti, a disciplinare i percorsi di fine vita è la sentenza 242 della Corte Costituzionale. Ovvero la storica decisione sul caso Cappato/Dj Fabo, che dal 2019 ha in parte legalizzato l’accesso al suicidio assistito quanto sussistono quattro requisiti: che la richiesta arrivi da un malato affetto da una patologia irreversibile, che sia capace di autodeterminarsi, che reputi le proprie sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

Da qui parte anche il testo base adottato dalle commissioni Giustizia e Affari sociali di Palazzo Madama, relatori i senatori Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia. Dopo mesi di “negoziazione” nel comitato ristretto del senato, il ddl ha cominciato il suo iter all’inizio del mese, con l’obiettivo di approdare in Aula il 17 luglio. Salvo poi slittare di settimana in settimana, con il termine per la presentazione degli emendamenti fissato nella stessa data: 140 richieste di modifica, di cui oltre cento da parte delle opposizioni.

Con ogni probabilità i lavori riprenderanno a settembre, anche se il Pd chiede di poter almeno avviare la discussione in Commissione prima della pausa estiva. Nel frattempo, ai relatori spetterà il compito di valutare gli spazi di mediazione sul testo, composto da quattro articoli, mentre i singoli gruppi spingono verso soluzioni e sensibilità diverse. Su un tema, come sono le questioni etiche, su cui i partiti lasciano sempre libertà di coscienza.

Il nodo principale riguarda il ruolo del servizio sanitario nazionale, che resta escluso dai percorsi di fine vita, con il rischio di “privatizzare” le pratiche. Secondo la formulazione attuale, voluta da Fratelli d’Italia, le aziende sanitarie non potranno fornire la strumentazione, il farmaco letale e il personale necessario, come è accaduto nel caso di Laura Santi. A cui l’Asl dell’Umbria ha fornito i primi due, mentre il personale è stato attivato su base volontaria.

Il dem Andrea Crisanti propone di inserire i percorsi di fine vita “in regime di intramoenia”, con costi non a carico del paziente, ma “sostenuti esclusivamente da organizzazioni senza scopo di lucro appositamente accreditate”. Mentre FdI, che ha presentato una decina di emendamenti, sembra preparare un’ulteriore stretta. Forza Italia, da parte sua, propone di modificare l’articolazione del comitato nazionale di valutazione, che rappresenta un altro nodo critico del testo. Insieme allo stop di 180 giorni previsto nel testo per ripresentare una domanda rifiutata. 

Se le opposizioni chiedono di rivedere il Comitato in termini di componenti e nomina, attualmente prevista tramite Dpcm, gli azzurri chiedono che sia composto da tre sezioni, come accade per i tribunali. Ma senza perdere di vista l’obiettivo di uniformare le procedure sul territorio nazionale, ed evitando al contempo le “fughe in avanti” delle Regioni che cercano di dotarsi di proprie leggi.

Come nel caso della Toscana, che lo scorso febbraio ha approvato una legge impugnata dal governo. Nei prossimi mesi è attesa la decisione della Consulta, che nelle settimane a seguire dovrà esprimersi anche sull’eutanasia. Mentre il Parlamento potrebbe finalmente dotare il Paese di una legge: la prima volta ci provò nel 1984 Loris Fortuna, deputato socialista e “papà” della legge sul divorzio.