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LUCA PALAMARA
Dietrofront – almeno per ora – del Csm sulla richiesta di risarcimento nei confronti di Luca Palamara. La decisione è arrivata durante il plenum di ieri, quando il vicepresidente Fabio Pinelli ha proposto (e ottenuto) di rinviare la pratica, alla luce della nota depositata dalla difesa dell’ex magistrato, che ne contestava la legittimità. La vicenda, svelata dal Dubbio la scorsa settimana, riguarda l’intenzione del Csm di citare Palamara in sede civile per i danni derivanti dal caso “Hotel Champagne”, ritenendo evidentemente insufficiente la somma di 129mila euro già versata dall’ex togato dopo l’accordo con la Corte dei Conti (di cui metà destinati al Csm). E questo, nonostante davanti ai giudici contabili lo stesso Consiglio, tramite l’Avvocatura generale, non avesse ritenuto di opporsi alla definizione agevolata del giudizio, giudicandola quindi congrua.
«La nuova richiesta», aveva commentato Palamara a questo giornale, «risulta ancora più illogica alla luce del procedimento di Perugia che vede Piero Amara – l’origine dei mali dell’ex presidente dell’Anm, ndr – indagato per calunnia». Proprio per questo i legali dell’ex magistrato hanno scritto al Comitato di Presidenza del Csm, sottolineando come i vari accertamenti giudiziari stiano smentendo le dichiarazioni di Amara.
Secondo la procura generale di Perugia, infatti, «la calunnia nei confronti di Palamara è stata determinata dalla volontà dell’indagato ( Amara, ndr) di sviare l’interesse degli inquirenti offrendo loro un diverso scalpo – Palamara appunto – e sottrarsi così alle responsabilità nascenti dall’essersi autoaccusato e dall’avere accusato altri, a Milano, di far parte di una associazione segreta costituita e operante per interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche», cioè la cosiddetta Loggia Ungheria. A ciò si aggiungono le più recenti dichiarazioni dello stesso Amara, che in un’intervista a La Verità ha affermato di aver ricevuto sollecitazioni dal pm Mario Formisano – uno dei magistrati titolari del fascicolo sull’Hotel Champagne – a fargli fare «l’inchiesta della vita», arrivando addirittura a mettersi in ginocchio.
Tutto questo, secondo gli avvocati Arturo Cancrini e Roberto Rampioni, inciderebbe «direttamente sulla valutazione del nesso causale e sull’individuazione della condotta lesiva e come tali escludono qualsivoglia addebito». Alla luce di ciò, «Palamara – in tutte le sedi istituzionali – è pronto a confermare la linearità, correttezza e trasparenza del proprio operato quale componente del Csm nel periodo 2014– 2018».
La pratica trae origine dalla decisione del Csm di costituirsi parte civile nel processo contro Palamara, scelta che non è stata invece compiuta nel procedimento contro Piercamillo Davigo, conclusosi con la condanna per rivelazione di segreto, in qualità di componente di Palazzo Bachelet, per aver diffuso i verbali di Amara sulla presunta loggia. «Credo che non sarebbe opportuno che il plenum si pronunciasse senza una breve valutazione adeguata approfondita sulle istanze difensive - ha sottolineato il vicepresidente Pinelli - tra l’altro da un punto di vista tecnico- giuridico anche di rilievo».
Da qui l’invito a 'restituire' la pratica all’Ufficio Studi per un nuovo parere. Prima del voto che ha sancito il ritorno in Commissione è intervenuto il laico di centrodestra Felice Giuffrè: «Fui io a redigere e a proporre la delibera integralmente sostitutiva con la quale poi abbiamo deciso di costituirci parte civile – ha sottolineato – e tuttavia qualche dubbio adesso ce l’ho. Leggendo la delibera, si dà atto che l’azione davanti alla Corte dei Conti ha una funzione prevalentemente sanzionatoria, ma è una funzione sanzionatoria nella quale vi è sempre sottesa una valenza riparatoria per lesione del buon andamento e dell’immagine della pubblica amministrazione, mentre l’azione civile per responsabilità aquiliana ha una funzione propriamente riparatoria o integralmente compensativa. Ci si potrebbe attenere agli stessi parametri utilizzati nell’ambito del giudizio contabile, quindi in danno da menomazione arrecato alla funzionalità dell’ente all’interesse alla legalità e al buon andamento, per cui già vi è stato un risarcimento da parte del dottor Palamara. Però se è così la quantificazione che nella delibera è proposta dall’Ufficio Studi da un minimo di centomila euro a un massimo di duecentomila euro non tiene conto della sovrapposizione».
Pinelli ha interrotto Giuffrè, invitandolo a non entrare nel merito, vista la decisione di rinviare la pratica in Commissione. Nelle 10 pagine che compongono il parere si legge che per l’Ufficio Studi il doppio binario è possibile e non sussisterebbe nessuna violazione del principio del ne bis in idem: mentre la Corte dei Conti è intervenuta a tutela dell’interesse pubblico generale in ottica «sanzionatoria», il giudizio civile è finalizzato a proteggere l’interesse particolare della singola Amministrazione, in funzione «riparatoria» ed «integralmente compensativa».
L’Ufficio Studi cita i molteplici pareri rilasciati nel corso degli anni, che evidenziano la sussistenza di un danno alla funzionalità dell’Organo, la lesione dell’immagine, «integrata dal grave pregiudizio al prestigio dell’istituzione e alla credibilità della sua complessiva azione di governo autonomo da condotte (...) di asservimento della funzione consiliare e giurisdizionale al perseguimento di interessi privati». Tali condotte, insomma, «in concreto hanno incrinato la fiducia verso l’istituzione consiliare e l’imparzialità e la correttezza dell’azione di governo autonomo». Ora «sembra potersi prospettare (...) che il comportamento del dott. Palamara abbia concretizzato una lesione della funzionalità dell’ente, quale Organo di governo autonomo, che all’epoca componeva» e che «la sua condotta abbia determinato un effetto di discredito ed un sentimento di sfiducia dei cittadini nei confronti dell’Organo medesimo».
Sebbene la sentenza di patteggiamento non abbia valore di prova piena, il Csm, continua il parere, può comunque usarla - insieme alla sentenza contabile, agli atti d’indagine e alla rassegna stampa - per sostenere in sede civile la richiesta di risarcimento dei danni residui che ritiene causati da Palamara.
Resta però un dato: le nomine dell’epoca Palamara - che sarebbero frutto di accordo tra correnti e non di merito - non sono state annullate. Un’incoerenza evidente, per chi ritiene che l’immagine del Consiglio sia stata danneggiata, spiega l’indipendente Andrea Mirenda. «Un maggior danno da lesione dell’immagine? Sarà agevole eccepirne in sede civile la natura “immaginaria”. Quale credibilità avrà mai, di fronte al giudice adito, un creditore - il Csm - che, facendosi beffa del dovere di cooperazione per attenuare il danno, ha pervicacemente omesso di annullare/ revocare in autotutela le nomine viziate? Che non ha avviato procedimenti disciplinari verso le centinaia di illeciti postulanti (lo ha detto la Cassazione), petulanti e non, grazie a editti “salvifici”? Che ha consentito ai beneficiati palamariani ( ma gli altri consiglieri dov’erano? Palamara se li è votati da solo?) di proseguire una carriera luminosa, riconfermandoli bellamente alla scadenza del quadriennio e magari nominandoli per incarichi ancor più prestigiosi? Agevole la parodia della celebre battuta di Marty Feldmann: “Danno? Quale danno?”».


