Siamo alla fase divulgativa. La separazione delle carriere viaggia verso il referendum come una carovana imponente e un po’ misteriosa. E così, come avviene anche su queste pagine, si moltiplicano i doverosi sforzi di rendere accessibile il contenuto della riforma e i motivi delle opposte posizioni in vista del voto popolare. Ieri il Corriere della Sera ha rivolto a diversi giuristi tre quesiti. Il primo recitava: «La riforma mina autonomia e indipendenza dei magistrati?» .

Ipotesi negata da tre professori dall’estrazione culturale diversa come Stefano Ceccanti, Ida Nicotra e Carlo Fusaro. Altrettanto eterogeneo, sempre in termini politico culturali, è l’orientamento delle tre autorevoli figure schierate per il no alle carriere separate: i costituzionalisti Andrea Pertici, Gaetano Azzariti e Ugo De Siervo. Colpisce soprattutto la logica con cui gli ultimi due sorreggono la loro contrarietà alla legge Nordio. L’ordinario della Sapienza e il presidente emerito della Consulta danno risposte quasi sovrapponibili.

«Autonomia e indipendenza non si reggono solo sulla loro dichiarazione formale» , secondo Azzariti, «ma anche sull’autorevolezza dell’organo che deve garantirla. Se è vero che non viene toccato il primo comma dell’art. 104 che le afferma, si tagliano però le gambe che le sostengono, rappresentate dall’attuale Csm. Organo indebolito (perché diviso e non rappresentativo ma casualmente composto) che sarà meno in grado di assicurare autonomia da ogni altro potere, dal governo in particolare ». E De Siervo: «La riforma rovescia la fondamentale garanzia di affidare prevalentemente a giudici eletti da tutti i magistrati i poteri del Csm.

Nei tre nuovi organi sostitutivi del Csm la maggioranza dei componenti sarebbe formata da giudici sorteggiati, senza richiesta di qualificazione (anzianità, esperienza, notorietà). Ciò significa dequalificare in radice la componente rappresentativa dei magistrati, riducendo la qualificazione dell’organo e la sua autonomia sostanziale, a tutto vantaggio del peso del governo» .

Come si vede, alla base di entrambe le obiezioni c’è l’idea di una necessaria e strutturale dialettica fra poteri. Di una dialettica anche serrata. Di un contrappunto, quasi, che la magistratura sarebbe chiamata a esprimere nei confronti della politica.

Non vi è alcuna traccia della dipendenza che, nell’attuale Csm “elettivo”, i togati scontano nei confronti dell’Anm e delle sue correnti. E sfugge il cuore vero dell’intera riforma, e cioè la necessità di evitare, proprio attraverso il sorteggio, che persino con lo sdoppiamento del Csm, i pubblici ministeri continuino a controllare le carriere, di coloro, i giudici, dinanzi ai quali gli stessi pm dovrebbero essere solo una “parte”, al pari dell’avvocato.

Senza il sorteggio, e con il permanere di un’elezione eterodiretta dalle correnti Anm, il controllo dei pm sui giudici resterebbe comunque, grazie all’egemonia che i primi vantano all’interno delle correnti.

Accettare, come implicitamente fanno De Siervo e Azzariti, una così evidente patologia, sembra nascondere l’idea che il “politicismo” dell’Anm sia necessario ad assicurare una sorta di “antagonismo istituzionale” fra ordine giudiziario e politica. Come se il Csm non debba invece essere semplicemente un organo di alta amministrazione. Ma perché mai fra la magistratura, il Parlamento e il governo dovrebbe esserci una dialettica antagonista? Perché De Siervo, Azzariti e, seppur in forma più sfumata, Pertici vedono solo il rischio che gli eventuali futuri consiglieri sorteggiati siano più esposti al condizionamento del potere politico, ipotesi tutta da dimostrare, e accettano invece il condizionamento correntizio, che non è un’ipotesi ma una certezza acclarata?

È difficile non riconoscere, in queste posizioni, il precipitato della lunghissima e anomala stagione conflittuale inaugurata con Mani pulite. È anzi chiarissima l’idea di una magistratura che dovrebbe rimediare, con la propria “vigilanza”, ai vizi di una politica intrinsecamente corrotta e inaffidabile. Non si sfugge, insomma, a 33 anni dallo strappo del ’ 92-’ 93, a uno schema contrappositivo e sostanzialmente antipolitico. Ma è un bene che da figure di peso come quelle interpellate dal Corriere arrivi questo contributo di chiarezza. Perché evoca, per contrasto, il senso ultimo del referendum sulle carriere separate: chiedere cioè agli elettori se vogliono preservare il rapporto anomalo inaugurato appunto, fra politica e magistratura, con Mani pulite. O se invece pensano che sia finalmente l’ora di liberarsene e di restituire alla politica il suo indispensabile primato.