«La stampa nel raccontare i fatti processuali omette gli elementi a discarico, ma noi abbiamo fiducia nella magistratura terza ed imparziale e confidiamo in questo e in quello che sta emergendo in dibattimento». E ancora: «Quello che temiamo è la percezione colpevolista da parte dell’opinione pubblica che ormai si è riverberata con attacchi continui agli imputati, dimenticando la presunzione di innocenza. Per fortuna la magistratura è impermeabile». È quello che hanno dichiarato ieri mattina al Dubbio Mauro Marsella e Carmelo Lavorino, rispettivamente avvocato e consulente tecnico del maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, di suo figlio Marco e di sua moglie Anna Maria. Siamo a pochi minuti dall’inizio dell’ennesima udienza del processo di secondo grado nella Corte di Assise di Appello di Roma e i tre sono accusati dell’omicidio di Serena Mollicone, uccisa il primo giugno 2001 ad Arce ( Frosinone) e ritrovata due giorni dopo in un boschetto. In primo grado sono stati assolti per «non aver commesso il fatto» e per questo dopo la lettura della sentenza sia loro, gli avvocati, i consulenti e i giudici sono stati aggrediti ferocemente dalla folla, tanto che sono dovute intervenire le forze dell’ordine.

La sete di condanna non si è placata e in questi mesi si sta svolgendo un processo mediatico parallelo, soprattutto da diverse trasmissioni televisive, condotte anche da non giornalisti – quindi non tenuti a rispettare il nostro codice deontologico in tema di presunzione di non colpevolezza – che intenzionalmente vogliono indirizzare l’opinione pubblica verso una visione colpevolista. E ci stanno riuscendo. Come? Inseguendo gli imputati per strada e gridando loro «non è giusto stare in silenzio», quando replicavano che avrebbero parlato nelle sedi opportune, ossia in Tribunale, mostrando solo spezzoni del processo decontestualizzati (a differenza di quanto fatto da un Giorno in Pretura su Rai 3). O facendo passare per reticente Marco Mottola solo perché, a decenni dai fatti, ha risposto con qualche «non ricordo», cercando testimoni ad oltre 20 anni dai fatti, mai chiamati a processo. Ma soprattutto omettendo nella narrazione alcuni passaggi fondamentali delle motivazioni della sentenza di primo grado della Corte di Assise di Cassino che qui riportiamo: «Come già ampiamente esaminato, numerosi elementi indiziari, costituenti dei tasselli fondamentali dell'impianto accusatorio del pm, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio» e «a fronte di tali carenze probatorie nei confronti dei singoli imputati, si deve evidenziare come dall’istruttoria dibattimentale siano emersi consistenti e gravi elementi indiziari dei quali si deve necessariamente desumere l’implicazione nella commissione del delitto in esame di soggetti terzi, che sono rimasti ignoti. Ci si riferisce in primo luogo al rinvenimento di impronte dattiloscopiche all’interno dei nastri adesivi che legavano le mani e le gambe di Serena, impronte ritenute utili per l’identificazione e che non appartengono agli imputati. Su un’impronta, risulta inoltre essere stato rinvenuto un profilo genetico misto con contribuente maschile, di cui è stata esclusa la paternità degli imputati». Nonostante questa stroncatura della tesi della procura, è stato fatto ricorso in appello. E certa stampa sta cercando di rifare il processo fuori da piazzale Clodio. Invece cosa è successo ieri in Aula? Il criminologo Lavorino ha dichiarato che gli elementi di prova sono stati contaminati; di parere contrario il consulente della procura Rosario Casamassima, luogotenente dei carabinieri del Ris.

Lavorino ha aggiunto al Dubbio: «Non c’è nulla contro gli imputati e la prova scientifica parla a loro favore. La porta ( contro la quale secondo l’accusa sarebbe stata sbattuta la testa della vittima, ndr) non è l’arma del delitto e il nastro con cui è stata legata non contiene i frammenti della porta». Per Lavorino, l’assassino è un «soggetto oltre i 40 anni, con un attaccamento affettivo non corrisposto dalla vittima, uccisa dopo una violenza sessuale non riuscita» .