Il reato di false informazioni contestato a Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia, «è teleologicamente connesso» ai reati contestati al Guardasigilli Carlo Nordio, in quanto compiuto per proteggere il ministro. Un rapporto di strumentalità tale che «avrebbe dovuto imporre la trasmissione degli atti alla Camera dei deputati per l’attivazione della procedura di autorizzazione a procedere» anche nei confronti di Bartolozzi, così come avvenuto per Nordio, Piantedosi e Mantovano. È questo il succo della relazione letta ieri in Giunta per le autorizzazioni da Dario Iaia, deputato di Fratelli d’Italia, che ha chiesto di sollevare il conflitto di attribuzione sul procedimento a carico di Bartolozzi, indagata nell’ambito del procedimento sul caso Almasri.

Secondo Iaia, «la scelta di procedere con le forme ordinarie nei confronti della dottoressa Bartolozzi determina un pregiudizio concreto alle prerogative costituzionali della Camera, poiché consente di eludere il filtro parlamentare proprio mediante la scissione artificiosa di una vicenda unitaria». Il voto in Giunta è previsto la prossima settimana, anche se l’esito appare scontato, dati i numeri della maggioranza. A seguire, gli atti passeranno all'Ufficio di presidenza di Montecitorio e poi all’Aula, che ha già salvato Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Nei loro confronti, il 16 ottobre scorso, il Tribunale di Roma ha disposto l’archiviazione, dato il no all’autorizzazione a procedere.

Nella sua relazione, Iaia ha evidenziato che la ratio dell’autorizzazione parlamentare rappresenta un modo per preservare «l’equilibrio tra poteri, evitando che l’iniziativa giudiziaria possa incidere indebitamente sul libero esercizio delle funzioni governative». Proprio per tale motivo tale garanzia dovrebbe estendersi anche ai procedimenti relativi a reati «teleologicamente connessi a quelli funzionali», anche se commessi da terzi, purché in posizione di stretta collaborazione organica o fiduciaria con il ministro.

Ciò «al fine di evitare che, mediante una distinzione artificiosa tra reato ministeriale e reato comune, si possa di fatto aggirare il filtro parlamentare previsto dall’articolo 96 della Costituzione. Infatti, l’accertamento del c. d. reato satellite, autonomo ma strumentale continua la relazione -, rischierebbe di imporre una valutazione della condotta del ministro, incidendo sul nucleo funzionale della stessa e aggirando indirettamente il filtro dell’autorizzazione a procedere. Limitare la guarentigia ai soli co- indagati concorrenti nel medesimo reato del ministro equivarrebbe, pertanto, a svuotare di significato il principio di unitarietà del giudizio funzionale, aprendo la strada a elusioni della tutela costituzionale attraverso contestazioni meramente strumentali di reati satellite». Insomma, qualora su Bartolozzi si procedesse per via ordinaria, il rischio sarebbe di portare in aula i ministri coperti da immunità, di fatto vanificando il voto dell’aula. Il che significherebbe - questa la logica della maggioranza - processare per vie traverse il governo per il caso Almasri, con conseguenze politiche non di poco conto.

La via d’uscita sta nella descrizione che lo stesso Tribunale dei Ministri e la procura hanno dato del comportamento di Bartolozzi, figura ritenuta fondamentale nella gestione dell’espulsione del torturatore libico, riaccompagnato a casa con volo di Stato. Secondo quelle versioni, Bartolozzi avrebbe mentito «per occultare i reati ascritti al ministro Nordio». Frase che, secondo la maggioranza, crea quel nesso teleologico pure negato dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi, infatti, che aveva escluso, con un parere, la possibilità di estendere l’istituto dell’autorizzazione a procedere a Bartolozzi, «in considerazione della diversità – per titolo e tempi di commissione» - tra i reati attribuiti a Nordio e alla sua capo di gabinetto. Una impostazione che per i capigruppo che hanno chiesto di sollevare il conflitto di attribuzione rappresenta uno «sviamento di potere: un uso distorto della discrezionalità, tale da impedire l’esercizio della prerogativa parlamentare sancita dall’articolo 96 della Costituzione e dalla legge costituzionale n. 1 del 1989».

Parole forti, ma funzionali allo scopo: secondo la maggioranza, infatti, ci sarebbe una «contraddizione logica» tra il ruolo attribuito dall’autorità giudiziaria a Bartolozzi e la scelta di non considerarla “coimputato laico”, dal momento che lo stesso Tribunale dei Ministri ha valorizzato la sua partecipazione alle riunioni del 19– 21 gennaio 2025 e il suo ruolo di coordinamento dell’azione degli uffici, agendo «come esecutrice delle direttive politiche del ministro Nordio; elemento che, secondo i firmatari, dimostra la connessione funzionale e teleologica tra i fatti ascritti ai ministri e la condotta della capo di gabinetto».

Le false dichiarazioni contestate a Bartolozzi, dunque, «appaiono strumentali a evitare la contestazione di reati ministeriali al ministro Nordio, generando quindi una connessione teleologica che dovrebbe obbligare la trasmissione degli atti alla Camera per l’autorizzazione a procedere». Ma al di là del caso specifico, il punto sarebbe di principio e riguarda «la necessità di ristabilire l’equilibrio tra potere legislativo e potere giudiziario in materia di reati ministeriali, per evitare che la Camera sia privata della possibilità di esercitare la propria autonoma valutazione costituzionalmente garantita».

Iaia cita la giurisprudenza di legittimità, che a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della 53390 del 24 novembre 2017 «ha chiarito che, ai fini della connessione» è sufficiente «la sussistenza di un nesso finalistico consapevole tra le condotte, purché il reato “mezzo” sia funzionalmente orientato a realizzare o a celare il reato “fine”». Le dichiarazioni contestate come false di Bartolozzi, dunque, rappresenterebbero il “mezzo” per «proteggere il ministro dalle conseguenze penali» delle sue condotte e, dunque, teleologicamente orientate «alla tutela e all’occultamento di un reato ministeriale, integrando in pieno la previsione di cui all’art. 12, comma 1, lett. c), c. p. p.: si tratta dunque di una vicenda che, sia pure con sfaccettature diverse, appare sostanzialmente unitaria», continua Iaia.

L’eventuale «separazione artificiosa» dei procedimenti, dunque, rischierebbe «di compromettere l’omogeneità della valutazione probatoria e, soprattutto, di svuotare di contenuto la guarentigia costituzionale riservata ai reati ministeriali».