Ci siamo, quasi certamente. Molti indizi concorrono a suggerire che la riforma costituzionale della giustizia, imperniata sulla separazione delle carriere, possa approdare già mercoledì in Consiglio dei ministri. Lo lasciano credere i toni espliciti di una figura chiave dell’Esecutivo qual è Alfredo Mantovano, il quale oggi ha spiegato come l’urgenza della modifica risieda, tra l’altro, nella necessità di «avere due Csm».

Ma più ancora l’accelerazione è attestata dalla salita al Colle di cui il sottosegretario alla Presidenza sarà protagonista domani pomeriggio insieme con l’autore della riforma, Carlo Nordio. Da una parte l’incontro in cui i testi del ddl costituzionale saranno mostrati a Sergio Mattarella – o al suo consigliere giuridico Daniele Cabras – attesta la delicatezza e l’importanza dell’intervento, all’altra segnala anche che ormai a Palazzo Chigi il piano d’azione è davvero pronto.
Sui tempi c’è ancora un filo d’incertezza: resta plausibile anche la data del 3 giugno. Ma il passaggio con la Presidenza della Repubblica (anticipato dal Foglio e confermato poco dopo dell’agenzia LaPresse) sembra l’ultimo sigillo prima del via libera governativo. Dopo che Giorgia Meloni ha spiegato di non voler legare il proprio destino politico all’esito del referendum sul premierato, la separazione delle carriere pare diventata una priorità per l’Esecutivo e non solo per Forza Italia.

Se infatti il vicepremier e leader di FI Antonio Tajani ha ribadito che «sta per arrivare in Cdm la separazione della carriere e non solo, noi vogliamo una giustizia giusta, un processo in cui il cittadino sia garantito da una parità di posizione tra accusa e difesa», a dare ancora più forza alla riforma è stato, come detto, proprio Mantovano, ospite sempre oggi di “Live in Milano” su SkyTg24: la separazione tra giudici e pm, ha detto, «nei fatti c’è da qualche anno, con la riforma Cartabia, che ha previsto un solo passaggio tra le due funzioni. Noi puntiamo a portare in Consiglio dei ministri il disegno di legge Nordio perché, a fronte della separazione nei fatti, c’è un solo Csm», ha chiarito l’ex magistrato e primo consigliere della premier in materia di giustizia.

A parlare è Mantovano, ma è difficile credere che la sua valutazione non sia pienamente condivisa dal vertice del governo. «Il ddl che arriverà in Cdm non riguarda solo la chiusura formale di una separazione che è già nei fatti, ma ne trarrà le conseguenze, permettendo a due Csm di occuparsi di due distinte carriere e provando a ridimensionare il ruolo delle correnti, gli unici veri partiti rimasti sul campo, protagoniste spesso delle carriere dei magistrati». Inoltre, ha aggiunto il sottosegretario, «puntiamo a togliere al Csm la sezione disciplinare e a individuare una Corte di Giustizia che si occuperà di tutti i magistrati, svincolata dall’appartenenza correntizia. Spero apprezzeranno anche altre forze politiche, che l’hanno proposta in passato».
L’ultimo riferimento sembrerebbe chiamare in causa il Pd, che ha depositato un ddl sull’Alta Corte a prima firma di Anna Rossomando. Mantovano ha proseguito ribadendo «l’inserimento in Costituzione del ruolo essenziale dell’avvocatura, che permette la parità delle parti processuali, prevista nel codice di procedura penale da 35 anni». E quando la giornalista di Sky ricorda poi al sottosegretario come da magistrato sia stato esponente di “MI”, la stessa corrente che, anche da queste pagine, ha criticato fortemente la riforma, lui replica: «Io ho fatto parte di Magistratura indipendente quando il suo presidente era Paolo Borsellino e suoi esponenti avevano peso e profilo di tutto rispetto, ma alla fine della mia carriera di magistrato ho preferito stare in disparte, fuori da ogni corrente».
Sulla possibilità di instaurare un dialogo con la magistratura associata, come ipotizzato anche dal viceministro Francesco Paolo Sisto al congresso dell’Anm, Mantovano ha concluso con un’altra battuta aspra nei confronti dei suoi ex colleghi: «Noi siamo aperti al dialogo, come lo siamo stati sul premierato», tuttavia «di fronte a pronunciamenti come quelli che abbiamo ascoltato nel congresso dell’Anm secondo cui la separazione delle carriere farebbe scatenare l’apocalisse» è «difficile affrontare un confronto». Il dialogo «si basa sul rispetto delle posizioni e sulla non demonizzazione di alcune proposte. Se mettiamo da parte i pregiudizi, il confronto si farà».
A commentare le dichiarazioni di Mantovano ci hanno pensato due gruppi associativi. «In una intervista a SkyTg24 – ha detto Rocco Maruotti, rappresentante di AreaDg nel parlamentino Anm – Mantovano, nell’argomentare sulla necessità della separazione delle carriere, cita Paolo Borsellino come il presidente di una MI “i cui esponenti avevano peso e profilo di tutto rispetto”. Non so su questo cosa pensino i suoi colleghi di MI e se è una valutazione che condividono. Quello che però non si può condividere è ricorrere alla memoria di Paolo Borsellino per sostenere la necessità della separazione delle carriere, tema sul quale basta scorrere gli scritti di Borsellino per capire come egli non la condividesse e la considerasse uno strumento per “mortificare obbiettivamente i magistrati del pubblico ministero, prefigurandone il distacco dall’ordine giudiziario”, parole pronunciate a Marsala l’11 dicembre 1987».
Magistratura indipendente si è fatta sentire con Loredana Miccichè e Claudio Galoppi, rispettivamente presidente e segretario: «L’apertura al dialogo fa parte della nostra identità e della nostra storia. Dunque la ribadiamo ancora una volta. Auspichiamo che però le riforme non siano ispirate, come appare invece dalle anticipazioni, da un intento di mortificazione della magistratura tutta».