Didier Reynders è l’euroministro della Giustizia. O meglio, il commissario Ue con delega alla Giustizia, ai Diritti fondamentali e alla Cittadinanza. Appartiene, di sicuro, a un’area politica diversa rispetto a Fratelli d’Italia, che ha voluto Carlo Nordio prima deputato e poi guardasigilli: in Europa, Reynders fa parte del gruppo liberaldemocratico, l’Alde.

Da lui c’è dunque da aspettarsi lealtà, ma anche spirito competitivo. Ora, da tempo il commissario Ue ha in corso un’interlocuzione serrata con il ministro Nordio su diverse questioni, prima fra tutte l’abuso d’ufficio. Ma finora non era mai intervenuto su una materia tutta italiana qual’è la separazione delle carriere.

«Alcuni stakeholders», ha detto, un po’ a sorpresa, ieri, «hanno espresso preoccupazione riguardo ai progetti di legge sulla separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri». Sembra un rilievo didascalico. Ma intanto Reynders affianca il tema a un passaggio piuttosto critico sulla lentezza della giustizia, cioè un attimo prima di ricordare che «la durata dei procedimenti in Italia rimane una sfida piuttosto seria da affrontare».

In più, va detto che la separazione delle carriere avrà pure risuonato negli interventi di molti magistrati, sabato scorso, alle inaugurazioni dell’anno giudiziario celebrate presso le Corti d’appello, ma mai finora era stata oggetto di confronto tra Bruxelles e Roma. Oltretutto la pur fugace battuta del commissario Ue arriva in una conferenza stampa monopolizzata dal rapporto della Commissione sullo Stato di diritto, discusso al Consiglio degli Affari generali soprattutto per via di una assai ben più grave questione: la possibile procedura nei confronti dell’Ungheria, da cui potrebbe discendere la revoca del diritto di veto per Budapest.

Che possa trattarsi, anche al di là delle intenzioni di Reynders, di un assist all’Anm, lo segnala anche un successivo passaggio del discorso, in cui l’eurocommissario evoca le «organizzazioni della società civile» che «in Italia come in molti altri Paesi dell’Unione sono a rischio». Al di là del «diritto di voto», dice il commissario Ue alla Giustizia, «è anche importante, in democrazia, avere voce». È un concetto che si può estendere a diversi casi, ma certo è difficile pensare che non sia riferibile a una rappresentanza sindacale “privata” qual è l’Associazione nazionale magistrati.

Difficile anche isolare un intervento del genere dalla cornice pre-elettorale: le Europee sono vicine, lo stesso Reynders lo ricorda, e mettere in difficoltà un governo che certo non è espressione dell’area lib-dem, da cui l’euroministro proviene, non sarà dispiaciuto al rappresentante di Bruxelles. Di certo, la giustizia italiana sembra poter diventare, da qui ai prossimi mesi, materia “sensibile” a livello internazionale. Ma in quest’ottica, non si può negare che Reynders, così attento alle urgenze di ogni componente della società civile, di qualsiasi attore sociale, abbia finito per guardare alle questioni della giustizia italiana secondo una prospettiva che sembra escludere completamente il punto di vista degli avvocati.

Non ha certo fatto proprie le preoccupazioni espresse, giovedì scorso alla cerimonia inaugurale in Cassazione, dal presidente del Cnf Francesco Greco, che ha descritto la giurisdizione italiana come sempre più «chiusa» agli «avvocati» e dunque ai «cittadini». Il vertice dell’istituzione forense ha fatto riferimento in particolare al ricorso sempre più esteso alla trattazione scritta nel processo civile, introdotta «come soluzione emergenziale durante l’emergenza pandemica» ma sopravvissuta anche dopo, in modo non sempre giustificabile. Concetto che sabato scorso, nelle successive inaugurazioni presso le Corti d’appello, è stato richiamato dai presidenti di gran parte dei Coa italiani. E un altro rappresentante del Cnf, il consigliere Antonio Gagliano, nel discorso pronunciato a Caltanissetta, ha messo in relazione i limiti del processo civile “cartolarizzato” con i principi fissati proprio nella Convenzione europea per i Diritto umani, che certo non dovrebbe essere ignota a Reynders: «L’articolo 6 della Convenzione proclama che ogni persona ha diritto a un’equa e pubblica udienza, davanti a un tribunale, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta».

Parole che suonano beffarde, se si considera invece «l’allarme», ricordato da Gagliano, «che il nostro presidente nazionale Francesco Greco ha manifestato», appunto, «nella cerimonia in Cassazione: una giurisdizione che si incentra su un processo in cui la trattazione scritta caratterizza e pervade ogni sua fase, e in cui invece l’oralità rimane solo un’eventualità remota, rischia di essere un processo senza effettivo contraddittorio e, quindi, non certo un giusto processo: l’udienza a trattazione scritta, tanto nel civile che nel penale, è proprio una contraddizione in termini».

Con una considerazione affine, il tema è stato trattato, per esempio, in Corte d’appello a Roma dal coordinatore dell’Organismo congressuale forense Mario Scialla: il 2023, ha detto, «è stato l’anno delle riforme e del Pnrr applicato alla giustizia, e l’Ocf ne ha richiamato tutte le criticità: svolgere la nostra professione con gli strumenti telematici ci ha allontanato dalle aule», ha osservato Scialla, «il rapporto interpersonale va recuperato con forza», anche perché «la solitudine tecnologica incide sull’aspetto socializzante degli operatori del diritto».

Tra l’altro, se pure sia necessario, il ricorso alla tecnologia si scontra spesso, in modo paradossale, con i limiti strutturali del sistema: basti pensare a quanto ricordato, nel proprio intervento all’inaugurazione presso la Corte d’appello di Napoli, dalla presidente dell’Ordine forense partenopeo Immacolata Trioianiello, a proposito del fatto che, nel capoluogo campano, il palazzo che ospita l’Ufficio del Giudice di pace «presenta caratteristiche strutturali tali da non consentire a volte lo svolgimento delle udienze nelle modalità dovute, né la verbalizzazione in modalità telematica, viceversa imposte dal Dl 13 del 2023: basti pensare alla assenza di una rete wi-fi all’interno degli uffici, che non consente ai colleghi di contribuire alla verbalizzazione informatica».

Evidentemente Bruxelles non considera il grido di dolore proveniente dall’avvocatura altrettanto degno di attenzione quanto l’allarme dell’Anm per la separazione delle carriere: nel primo caso le questioni poste, seppur relative a principi scolpiti nella Convenzione europea, come ricordato da Gagliano alla cerimonia di Caltanissetta, collidono forse con esigenze economicistiche. Ma anche nella più tecnologica delle sedi giudiziarie, Milano, il presidente dell’Ordine Antonino La Lumia non ha mancato di ricordare che «la tutela dei diritti deve respirare in spazi ampi, non essere stretta in catene dettate da priorità che scontano fattori meramente economici. Bisogna dirlo, con coraggio e visione».

E se sullo snaturamento legato alla cartolarizzazione il silenzio dell’Europa si spiega con l’ossessione per il taglio dei tempi processuali, è più difficile comprendere perché, a un occhio acuto come quello di Reynders, sia sfuggita la questione richiamata, nell’inaugurazione a Palermo, dal presidente degli avvocati del capoluogo siciliano Dario Greco: «Una manifestazione nel Palermitano con pesanti invettive verso un avvocato nostro iscritto, che sono state tollerate dalle autorità presenti; una petizione on-line per indurre un avvocato a rinunciare a un mandato», in riferimento al professor Giovanni Caruso, difensore di Filippo Turetta; «l’iscrizione a Milano nel registro degli indagati, comunicata alla stampa prima ancora che all’interessata, di una collega al solo scopo di sindacare la sua strategia difensiva», e qui si tratta di Alessia Pontenani, la penalista che difende a Milano Alessia Pifferi, la madre accusata di aver provocato la morte, per abbondano, della figlia neonata.

E ancora, Greco ha ricordato «le persistenti ingiurie e gli attacchi sui social contro gli avvocati: sia chiaro a tutti, l’avvocatura italiana non arretrerà di un solo passo», ha concluso il presidente del Coa di Palermo. E sarebbe bello se dall’Europa arrivasse un segnale di attenzione anche per gli avvocati, oltre che per i magistrati italiani.