Bruti Liberati è una voce autorevole della magistratura. Da ex capo non solo della Procura di Milano ma anche di una storica corrente dell’Anm, Magistratura democratica, ci ricorda che il contributo delle toghe nel dibattito politico ( sulla giustizia ovviamente) può essere prezioso. E infatti il suo intervento di due giorni fa su La Stampa a proposito delle “dimissioni per opportunità” è tra i più stimolanti in materia. Scrive a partire da Santanchè. Sostiene che affidare all’eventualità di un rinvio a giudizio l’estromissione di una ministra coinvolta in un’indagine significa scaricare troppe responsabilità sui magistrati. Ricorda pure i tanti casi di esponenti politici che, in altri Paesi, si sono dimessi il giorno dopo la pubblicazione di imbarazzanti scoop sul loro conto.

Poi aggiunge, con una certa serenità, un dettaglio devastante: in diversi di quei casi, il politico in questione è risultato innocente ( l’ex presidente della Repubblica tedesco Wulff) o addirittura, tanto per tener vivo il parallelo con Santanchè, la pubblica accusa ha chiesto, nei suoi confronti, l’archiviazione ( l’aspirante presidente della Francia Strauss- Kahn). Dopodiché, conclude Bruti Liberati, il quarto potere, quello della stampa, non può essere ignorato, né si può ingigantire quello di noi toghe. Ecco, qui il passaggio è delicatissimo.

Da giornalisti vorremmo chiedere a Bruti Liberati:

e perché mai noi dovremmo avere il potere di silurare politici innocenti? Detto proprio così: gentilissimo procuratore, perché mai? Dovremmo incenerire il principio per cui è sempre meglio lasciare impuniti cento colpevoli che infliggere una condanna ingiusta a un solo innocente: il cardine del diritto penale liberale. Sostenere il contrario, cioè che il semplice sospetto avanzato da un’inchiesta giornalistica deve produrre la fine di una carriera politica, persino a costo di scoprire che il poveretto era estraneo alle accuse, be’ no, proprio no.

È la fine della democrazia. Il macello delle classi dirigenti, lasciate nelle mani degli interessi, incontrollabili dalla rappresentanza democratica, che possono muoversi dietro un’inchiesta giornalistica. Meglio non santificare nessuno. E lei, procuratore Bruti Liberati, non santifichi neppure noi giornalisti, che possiamo essere più o meno onesti o sospettabili esattamente al pari degli altri.