I giornalisti-sindacalisti della Fnsi non saranno presenti alla conferenza di fine anno della premier Giorgia Meloni, che per ora è comunque rinviata. Uno sciopero bianco. Non per la libertà di stampa, ma per la difesa dell’informazione giudiziaria, il diritto da parte dei giornalisti di collocarsi al fianco delle toghe, contro quel voto del Parlamento che vieta la pubblicazione, in toto o in parte, delle ordinanze di custodia cautelare fino al termine delle indagini.

Era già capitato due anni fa con il governo Draghi e la ministra Cartabia, con la protesta di pubblici ministeri e cronisti uniti nella lotta contro il voto del parlamento che, nel recepire con grande ritardo una direttiva europea del 2016, fissava le regole perché indagati e imputati non fossero presentati all’opinione pubblica come già colpevoli. E infatti, un mese dopo quel voto, la Fnsi, sindacato di categoria, aveva presentato un ricorso alla Commissione europea competente per protestare contro le modalità con cui il Parlamento italiano aveva aderito alla direttiva dell’Europa.

Il triangolo della protesta ha anche un risvolto politico esplicito, che si unisce al sindacato dei giornalisti e a quello delle toghe, e che viene espresso dai partiti di minoranza, il Pd, il Movimento cinque stelle e Alleanza verdi sinistra. Fa impressione questa sorta di squadrone compatto, per chi ha memoria di movimenti di giornalisti che addirittura facevano contro-informazione, tanto poco si fidavano delle versioni di magistratura. Oppure di quel settore di Magistratura Democratica sinceramente garantista. O infine di quella parte del Pd che un tempo credeva nello Stato di diritto, come l’ex senatore Giovanni Pellegrino, che ancora oggi dice «Non capivo perché il mio partito fosse sempre dalla parte dell’accusa. Lo ritenevo demenziale». Ma oggi c’è Sandro Ruotolo, responsabile informazione del Pd per il quale la libertà di stampa non esiste in Italia da trent’anni. Eh si, viviamo tutti in un gulag almeno dai tempi delle guerre puniche.

Oggi abbiamo giornalisti che vanno sottobraccio ai pubblici ministeri senza vergognarsene e che arrivano fino a uno sgarbo istituzionale come quello di disertare l’appuntamento di fine anno con il Presidente del consiglio pur di difendere il diritto di mettere qualcuno alla berlina. Perché questo è quello che sta rivendicando il sindacato della stampa: vogliamo le mani libere di conoscere e far sapere, attraverso la ricopiatura con le virgolette delle ordinanze di custodia cautelare, tutto ciò che un qualunque “pentito” o vicino di casa ha detto per telefono sulla persona indagata. Vogliamo le migliaia di pagine piene di intercettazioni da ricopiare e sbattere in pagina con titoli suggestivi.

Il sindacato dei giornalisti è arrivato a tal punto di umiliazione della categoria, da dire quanto sia preferibile questa attività di ricopiatura delle ordinanze del giudice rispetto all’interpretazione soggettiva della notizia da parte del singolo cronista. E’ la stessa cosa che dicono i magistrati, ed è comprensibile, perché vogliono continuare a essere loro a tenere il coltello dalla parte del manico, vogliono che ciascun procuratore sia il deus ex machina della comunicazione. Per questo non hanno digerito quel voto di due anni fa che dettava le regole sulla presentazione di blitz e arresti, concentrando nelle sole mani dei capi degli uffici e nei soli casi di vera emergenza pubblica la possibilità delle conferenze stampa. E imponeva il rispetto della persona come impone l’articolo 27 della Costituzione sulla presunzione di non colpevolezza. Nel suo ricorso contro quel voto la Fnsi usa un argomento sorprendente, perché quel provvedimento limiterebbe la libertà dei magistrati, e solo come conseguenza di questo anche quella della stampa. Dove è finito il famoso ”cane da guardia” delle istituzioni che la stampa dovrebbe rappresentare? E la controinformazione, le ricostruzioni alternative rispetto alle indagini ufficiali? Ora i giornalisti dovrebbero lottare per la libertà delle toghe? Serpeggia qua e là, nell’ambito di questa sacra alleanza, la tentazione alla disobbedienza. Non parliamo solo del Fatto quotidiano, che sulle gogne e l’informazione giudiziaria campa da quando esiste. Ma anche del procuratore di Potenza Francesco Curcio, il quale afferma che continuerà a passare le carte ai cronisti, visto che comunque è vietata solo la pubblicazione e non anche la consegna. Obiezione di coscienza che si affianca allo sciopero bianco del giornalisti-sindacalisti.

Una domanda comunque pare non si ponga mai: siamo sicuri che sia indispensabile inondare quello che è solo un atto destinato spesso a essere contraddetto o annullato, con migliaia di pagine e di intercettazioni? Un po’ più di sobrietà, anche per il rispetto dell’indagato, sarebbe comunque preferibile. E anche la capacità, da parte dei cronisti, di ragionare con calma, di non avere fretta di presentare all’opinione pubblica la “preda”, prima che si arrivi alla conclusione delle indagini. Perché non solo tutto può succedere, quando le carte del pm planano sulla scrivania del gip, del tribunale del riesame e della cassazione. Ma anche perché, nel sistema accusatorio, il vero e unico momento del processo, quello in cui si verificano le prove nel confronto scontro tra accusa e difesa è quello dell’aula. E’ l’aula, la sovrana. E questo ogni bravo cronista giudiziario dovrebbe saperlo.