«Chi porterà avanti questo esposto si farà male, molto male». A pronunciare queste parole, secondo quanto raccontato ieri in aula a Perugia dal procuratore aggiunto di Roma Angelantonio Racanelli, sarebbe stato Giuseppe Pignatone, all’epoca dei fatti procuratore nella Capitale. Al centro della conversazione l’esposto al Csm presentata da Stefano Rocco Fava, all’epoca pm a Roma, oggi giudice civile a Latina, accusato, assieme all’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, di aver rivelato notizie d'ufficio «che sarebbero dovute rimanere segrete», e in particolare «che Fava aveva predisposto una misura cautelare nei confronti di Amara per il delitto di autoriciclaggio e che anche in relazione a tale misura il procuratore della Repubblica non aveva apposto il visto».

Nel procedimento, che vede il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo parte civile, Fava è accusato anche di accesso abusivo a sistema informatico e abuso d'ufficio. L’obiettivo, secondo l'atto di accusa «era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone», con l’aiuto di Palamara «a cui consegnava tutto l'incartamento indebitamente acquisito». Tale campagna si sarebbe realizzata anche con un esposto con il quale il magistrato segnalava il comportamento tenuto da Pignatone nei procedimenti a carico dell’ex avvocato esterno di Eni, Piero Amara, e dell’imprenditore Ezio Bigotti: il capo della procura aveva infatti negato che sussistessero ragioni per astenersi dalle indagini, nonostante i rapporti professionali di entrambi con il fratello Roberto.

L’esposto di Fava, difeso dall’avvocato Luigi Antonio Paolo Panella, arrivò alla prima commissione il 27 marzo, ma il comitato di presidenza decise di condurre una sorta di istruttoria preliminare, chiedendo informazioni all’allora procuratore generale della Corte d’Appello di Roma, Giovanni Salvi, che a sua volta chiese chiarimenti a Pignatone. In quella corrispondenza erano contenute tutte le fibrillazioni registrate in procura, comprese quelle durante le due riunioni infuocate di cui poi i giornali diedero notizia.

Dopo tali accertamenti, l’esposto tornò a Palazzo dei Marescialli il 7 maggio 2019, ovvero due giorni prima del pensionamento di Pignatone. Da lì sarebbero dovute partire le prime audizioni, fissate a giugno, ma tutto si interruppe per via di una nota della procura di Perugia, che informava Palazzo dei Marescialli di un decreto di perquisizione che conteneva l’ipotesi di un tentativo di condizionamento della nomina del nuovo procuratore di Roma attraverso quello stesso esposto. E pochi giorni dopo, il Fatto e La Verità raccontarono della guerra in procura, fuga di notizie per la quale ora Fava e Palamara sono a processo. Appresa la notizia di un esposto nei confronti del procuratore capo, ha spiegato Racanelli, «sono andato da Pignatone per dirglielo e ho avuto l'impressione che lui già lo sapesse».

Successivamente, «sono andato nel suo ufficio, mi ha raccontato dell'errore in cui secondo lui era incorso Fava su suo fratello, e a un certo punto ha usato un'espressione che mi ha lasciato di stucco, una frase come “chi porterà avanti questo esposto si farà male, molto male”. Non era una frase, credo, rivolta a me, ma io all'epoca avevo un incarico associativo come segretario di Magistratura Indipendente e avevo rapporti con gli esponenti di MI al Consiglio. Pignatone era molto seccato ma convinto di essersi comportato correttamente».