«Ma lei sa che ci sono casi di avvocati arrestati perché portavano messaggi ai detenuti reclusi al 41 bis?». Con questa frase “tranchant” Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e ora senatore del M5s, è tornato sull’annoso (e mai risolto) tema delle intercettazioni dei colloqui fra gli avvocati edi loro assistiti. Rispondendo al presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza, nel corso dell’audizione a cui entrambi hanno preso parte ieri mattina in commissione Giustizia al Senato, Scarpinato ha sostanzialmente ‘giustificato’ la sempre più frequente abitudine dei suoi ex colleghi di ascoltare gli avvocati.

Eppure la legge è chiara. L’articolo 103 del codice di procedura penale, al quinto comma, stabilisce che non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari né di quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite. Il colloquio tra difensore e assistito, come ricordato da Caiazza, è “inviolabile”: un principio sancito anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui tale diritto rientra tra le “esigenze elementari del processo equo in una società democratica”.

Il non rispetto della norma è stato duramente stigmatizzato dal presidente dei penalisti, nel corso dell’incontro che la commissione presieduta da Giulia Bongiorno ha voluto in vista dell’indagine conoscitiva sull’uso delle intercettazioni. Gli escamotage dei pm per utilizzare i colloqui (captati “indirettamente”) fra gli avvocati e i loro assistiti sono molti. Le conversazione, ad esempio, devono ritenersi pienamente utilizzabili se, al momento del dialogo tra l’indagato e il professionista, quest’ultimo non ne era il difensore e lo sarebbe diventato di lì a poco. La giurisprudenza, in tal modo, ha stabilito che non esisterebbe una zona di immunità per la quale non è possibile ascoltare i colloqui dei difensori con soggetti privati, pur magari loro abituali clienti. Caiazza, sul punto, ha però ricordato la pronuncia della Consulta sulla vicenda delle telefonate dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato non poteva nemmeno essere ascoltato, come riportato in sentenza, “al pari dell’avvocato difensore”.

Ma quello che accade nella realtà è ben diverso. «Si viene ascoltati, il pm valuta se la conversazione ha come oggetto il mandato difensivo o meno, e poi decide per l’utilizzabilità», ha ricordato Caiazza. «Nel frattempo», aggiunge, «gli inquirenti sono però venuti a conoscenza di tutte le strategie difensive».

Quanto accade è in chiaro contrasto con i principi costituzionali legati al diritto di difesa e al giusto processo. L’assistito deve poter essere libero di confrontarsi col proprio avvocato.

I casi sono tantissimi ed è anche difficile elencarli. Uno dei più celebri ha riguardato l’avvocata romana Roberta Boccadamo, legale dell’ex ad di Spea, l’ingegnere Antonino Galatà, nel procedimento sulle barriere autostradali. Leggendo l’ordinanza del gip di Genova con le motivazioni della misura cautelare nei confronti dei vertici di Atlantia, tra cui l’ex ad Giovanni Castellucci, nell’ambito di un’indagine avviata sulla base della documentazione acquisita nell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi, l’avvocata si era imbattuta nell’intercettazione di una sua conversazione con Galatà. Conversazione non solo registrata ma anche trascritta e utilizzata dai magistrati. Una “intromissione” giustificata con una circostanza non veritiera: Boccadamo fu indicata come compagna del suo assistito.

L’esigenza di mettere un freno a tali prassi scorrette era stata rappresentata nel 2018 da Andrea Mascherin, allora presidente del Consiglio nazionale forense, che apprezzando le modifiche della riforma Orlando sulle intercettazioni dell’anno prima, chiariva anche l’assoluta esigenza di rendere vietato - in maniera effettiva - l’ascolto dei colloqui tra difensore e assistito, senza alcuna eccezione.

«Se c’è qualche avvocato viola la legge, questa non è una buona ragione per intercettare le conversazioni di tutti gli altri», ha replicato il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin a Scarpinato.

Caiazza, infine, è anche tornato sulla necessità di non pubblicare le intercettazioni contenute nelle ordinanze di custodia cautelare. Intercettazioni pubblicate in quanto si ritiene che essendo stata notificata l’ordinanza tutto il suo contenuto sia ostensibile. «È una logica perversa», ha aggiunto il presidente dell’Ucpi, dal momento che «la pubblicazione delle intercettazioni è sempre vietata nelle fase delle indagini preliminari».

Per arginare questo malcostume, il leader dei penalisti ha proposto sanzioni pecuniarie importanti nei confronti dei giornalisti e degli editori.