Il disturbo epilettico della piccola Martina ( nome di fantasia) non era mai stato diagnosticato prima di ottobre 2017. Ovvero mesi e mesi dopo la relazione con la quale i servizi sociali dell’Unione della Val d’Enza, oggi a processo per i presunti affidi illeciti, avevano associato i sintomi manifestati dalla bambina ad un possibile abuso di natura sessuale. Il dato è emerso lunedì con la testimonianza di Daniela Davoli, pediatra della piccola Martina durante e dopo l’affido, per un totale di quattro anni. La pediatra ha spiegato che la bambina era inizialmente molto chiusa, al punto da rendere faticose le visite. Ma tale atteggiamento sarebbe cambiato nel corso del tempo, durante il periodo trascorso con le due affidatarie, diventando via via più tranquilla.

I servizi sono accusati di aver relazionato «sintomi di natura “simildissociativa” dovuti ad eventi di natura traumatica e di tipo sessuale, omettendo di riferire la riscontrata patologia ( epilessia) di cui erano consapevoli tacendo in tal modo una circostanza che avrebbe consentito una diversa valutazione dei comportamenti della minore». Ma al momento della stesura della relazione come si evince dagli atti - tale diagnosi non era stata ancora effettuata.

La circostanza è stata chiarita anche da Davoli, incalzata dalle domande dei difensori delle due madri affidatarie, Andrea Stefani e Valentina Oleari, pur non coinvolte in questo capo di imputazione, che riguarda la responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, Federica Anghinolfi ( difesa da Rossella Ognibene e Oliviero Mazza) e l’assistente sociale Francesco Monopoli ( difeso da Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro). Le relazioni risalgono infatti alla prima metà del 2017, ma l’epilessia verrà diagnosticata soltanto ad ottobre 2017, a seguito di un ricovero della bambina, al termine del quale la neuropsichiatria di Reggio Emilia fa una diagnosi di possibile epilessia rolandica all’esordio, comunque da approfondire.

Davoli, interrogata su questi temi, ha dichiarato di aver inviato Martina alla neuropsichiatria a maggio del 2017 per un approfondimento, anche su richiesta delle affidatarie e a seguito della segnalazione della psicoterapeuta che seguiva la bambina all’epoca. Ma in quel momento la pediatra - e nessun altro specialista - non aveva minimamente ipotizzato l’esistenza di un disturbo epilettico. «Prima di ottobre 2017 non avevo nessuna evidenza», ha chiarito Davoli. E a dimostrare la veridicità delle sue affermazioni c’è il diario clinico di Martina, dal quale si evince che la pediatra ha segnalato l’esigenza di una visita per una possibile «crisi psicotica», quesito che non rimanda certo all’epilessia. Ma non solo: su domanda degli avvocati Stefani e Oleari, Davoli ha anche chiarito che alcuni sintomi manifestati da Martina potevano essere ricondotti, in parte, a una possibile forma epilettica da indagare tramite esami strumentali, e per altri aspetti a una sindrome dissociativa, come indicato nelle relazioni dei Servizi.

Ma c’è un altro dato importante: che l’epilessia non fosse stata diagnosticata prima di ottobre 2017 emerge anche da un altro procedimento a carico di ignoti per il sospetto abuso sessuale, nel quale la bambina risulta parte offesa. I Carabinieri, scaricando i documenti dal computer della pediatra Davoli il 9 novembre 2018, hanno acquisito infatti il suddetto diario clinico, dal quale si evince con chiarezza come dal percorso clinico, iniziato a novembre 2016, non emergesse nessuna ipotesi di epilessia. Per diagnosticare la quale è stato necessario eseguire un encefalogramma ( appunto ad ottobre 2017) ritenuto, da solo, comunque non sufficiente per una diagnosi certa. Ciononostante, i servizi sono stati indagati per falso, con l’accusa di aver ignorato una diagnosi ancora non esistente.