Il Belgio viola il diritto di difesa. A stabilirlo, ieri, è stata la Commissione europea, che ha deferito il governo di Bruxelles - insieme a quello del Lussemburgo - alla Corte di giustizia dell’Ue per non aver recepito correttamente la direttiva relativa al diritto di avvalersi di un difensore e al diritto di comunicare in caso di arresto. Direttiva - la 2013/ 48 - che gli Stati membri avrebbero dovuto recepire entro il 27 novembre 2016, ma che allo stato attuale rimane solo sulla carta, nonostante la lettera di costituzione in mora inviata il 23 settembre 2021 dalla Commissione.

Una violazione che, nel caso specifico, riguardava il diritto del minore di avvalersi di un difensore in modo concreto ed effettivo, la deroga al diritto di avvalersi di un difensore a causa della lontananza geografica e le deroghe al diritto di avvalersi di un difensore nei procedimenti penali. Nonostante i tentativi della Commissione di rimettere in riga il Belgio che a luglio scorso ha risposto al parere motivato della Commissione senza fornire la prova del corretto recepimento della direttiva -, il caso è rimasto irrisolto, passando così alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Violazioni che non sono una novità, per il Belgio, e che ora appaiono lampanti nel caso Qatargate, con l’ultimo, clamoroso colpo di scena legato all’indebita intrusione nella strategia difensiva di Francesco Giorgi, ex braccio destro di Pier Antonio Panzeri, principale accusatore del presunto sistema corruttivo. Le parole del presunto pentito sono state messe in discussione dallo stesso capo delle indagini, che in un audio registrato da Giorgi il 3 maggio scorso ha ammesso di non credere a nessuna delle affermazioni dell’ex eurodeputato, vere e proprie menzogne, a suo dire, che molto probabilmente non consentiranno di «omologare» il collaboratore di giustizia.

L’ispettore ha pronunciato quelle parole a casa di Giorgi, dove si era recato, a sorpresa, per restituire quanto sequestrato pochi giorni prima. Un sequestro del tutto anomalo e reso possibile da alcune microspie piazzate a casa del marito della vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili senza alcun atto formale - nel fascicolo non risulta alcuna autorizzazione del giudice per piazzare le ambientali in casa di Giorgi -, grazie al quale gli inquirenti hanno ascoltato i colloqui tra l’ex assistente parlamentare e il suo avvocato Pierre Monville. È proprio grazie a quest’ultimo - che ha depositato tutto presso la procura federale - che è venuto alla luce l’audio nel quale l’ispettore capo ha messo in dubbio le risultanze dell’inchiesta. Parole che la procura federale non ha al momento smentito, preferendo attendere l’esito del controllo sulla regolarità degli atti di indagine, che arriverà a maggio. E lasciando al proprio posto l’ispettore, oggetto soltanto di un richiamo. Per evitare, probabilmente, un effetto a cascata sulla regolarità degli atti, che sono tutti firmati dall’investigatore chiacchierone.

Grazie alle microspie, gli investigatori hanno perquisito casa di Giorgi - in assenza di qualsiasi rischio di inquinamento probatorio, reiterazione del reato o collusione -, sequestrando telefono, computer e, soprattutto, gli appunti difensivi dell’ex assistente parlamentare, che proprio quel giorno avrebbe dovuto rilasciare nuove dichiarazioni in procura. Ma il giorno precedente all’incontro con gli inquirenti Giorgi aveva cambiato idea, decidendo di rimandare ad un altro momento la condivisione di quelle informazioni. Il blitz nel suo appartamento ha fatto finire comunque in mano agli investigatori quegli appunti con i quali, di fatto, smentiva la versione di Panzeri, restituendogli i connotati del lobbista e smarcandosi dall’accusa di corruzione. Giorgi ha infatti giustificato la presenza dei soldi in casa sua come la restituzione di un prestito fatto allo stesso Panzeri, condannato nel 2010 dall’Olaf - l’Ufficio europeo antifrode - a restituire un importo iniziale di 125.000 euro. «Mi ha chiesto di prestargli questa somma - aveva appuntato Giorgi in un file poi depositato ad ottobre scorso -. Ho sempre avuto difficoltà a dirgli di no, perché era un politico potente e io avevo appena 22 anni. Quindi gli ho concesso questo prestito in contanti tramite trattenute mensili sul mio stipendio di circa 1.500 euro tra il 2010 e il 2017». Sono stati gli stessi servizi segreti a concludere che Giorgi non ha ricevuto tangenti, delle quali non c’è infatti alcuna prova. «Le uniche somme che ho ricevuto da Panzeri sono la restituzione del prestito e altre spese che avevo anticipato per un totale di 150.000 euro - ha evidenziato -. Quando gli ho detto (a Panzeri, ndr) che mi metteva a disagio il fatto di avere i suoi soldi a casa mia, visto che nel frattempo non vivevo più solo e mi ero trasferito con mia moglie e la bimba, mi ha rassicurato che stava cercando un modo di trasferirli e dichiararli in Italia». Ma quali sarebbero stati gli affari di Panzeri con Qatar e Marocco? «Abderrahim Atmoun (ambasciatore marocchino a Varsavia, ndr), Al Marri (ministro dell’economia degli Emirati Arabi, ndr) e Kebd Abellahi (ambasciatore della Mauritania a Bruxelles, ndr) hanno assunto Panzeri come consulente - si legge ancora negli appunti -. Ha fatto credere che grazie alla sua credibilità di ex deputato e alla sua rete di contatti, era in grado di influenzare il processo decisionale del Parlamento europeo». Ma era vero? Stando a Giorgi no: «La maggior parte degli elementi elencati nel resoconto riguardavano attività legate a politiche ufficiali dell’Ue che Panzeri presentava come il risultato della sua influenza nonostante sarebbero avvenute a prescindere». Insomma, a sentire Giorgi una specie di un millantatore. E il Qatargate, probabilmente, una bolla di sapone destinata a scoppiare.