PHOTO
Nel vortice della disinformazione. Si potrebbe riassumere così la vicenda dell’avvocato Vincenzo Ioppoli. Il nome del penalista del Foro di Catanzaro è stato impropriamente accostato da alcuni organi di stampa a vicende caratterizzate da reati di criminalità organizzata. Una leggerezza che non deve far finire su secondo piano la realtà dei fatti. Ioppoli ha ricevuto una informazione di garanzia, ma per altre vicende. La procura di Catanzaro ritiene che abbia commesso reati comuni. Per la precisione gli vengono contestati un abuso d’ufficio e un falso, perché, quando fece parte della commissione esaminatrice per l’abilitazione alla professione forense, avrebbe ricevuto una segnalazione riguardante una aspirante toga.
«La procura – precisa il difensore di Ioppoli, Francesco Verri - non formula alcuna accusa per reati di mafia né contesta aggravanti di mafia. Né poteva essere diversamente, considerato l’altissimo profilo e la storia dell’avvocato Ioppoli. Purtroppo, però, le notizie ambigue pubblicate su alcuni giornali online, nonostante la segretezza che dovrebbe contraddistinguere la notifica di un avviso di garanzia, lasciano del tutto erroneamente supporre il contrario attraverso l’accostamento di fatti ordinari con un’operazione contro la ‘ndrangheta che non ha nulla a che vedere con l’esame d’avvocato contestato».
Per il tramite del difensore l’avvocato Ioppoli esprime «il proprio sdegno per l’accaduto». «Io provo lo stesso sentimento e lo esprimo con altrettanta forza», afferma Verri. «Nel merito – aggiunge -, l’avvocato Ioppoli si difenderà chiarendo la sua posizione con i magistrati che si occupano del procedimento. Nel frattempo, abbiamo diffidato gli organi di stampa che hanno pubblicato la notizia in modo diffamatorio a rettificarne immediatamente il contenuto».
Verri si sofferma su un altro aspetto della vicenda che riguarda la diffusione delle notizie: «È utile ricordare che esiste anche la diffamazione mediante omissione, che si realizza attraverso una notizia incompleta, una mezza verità. Potremmo definirla una half fake news. Se si parla di una indagine che riguarda una serie di persone accusate di far parte di una associazione criminale e si afferma che è coinvolto un avvocato, la notizia è incompleta. Si sta omettendo un particolare decisivo e cioè che l’avvocato non è indagato per un reato di ’ndrangheta, nonostante sia stato inserito in un contenitore di un certo tipo. Specificare che l’avvocato non è indagato per reati di ’ndrangheta renderebbe invece la notizia fedele». Ma questo, ad avviso del legale, non è l’unico tema. Alcune fughe di notizie, con la violazione della segretezza - non solo della riservatezza - provocano grossi danni e non possono essere tollerate. «Il fenomeno della fuga di notizie – conclude l’avvocato Verri - non è nuovo. Il professor Vittorio Manes, nel saggio intitolato “Giustizia mediatica”, evidenzia un pericolo: quello di rendere inutile la giustizia dei Tribunali. Abbiamo reso la giustizia un simulacro, un evento tardivo, ad una specie di liturgia».
La Camera penale Alfredo Cantàfora di Catanzaro è intervenuta sul caso Ioppoli. «Quando, mesi fa – si legge in una nota -, le Camere penali calabresi hanno denunciato per l’ennesima volta l’erroneo e smodato ricorso all’istituto della connessione tra procedimenti, la magistratura associata e certa stampa consociata hanno reagito con la solita veemente levata di scudi. Volutamente evitando di confrontarsi con la segnalata distorsione del sistema delle garanzie liberali e soffiando sul fuoco della personalizzazione della critica, che è tentazione alla quale l’avvocatura penalista non ha mai inteso cedere e non cederà neanche oggi. Ciò che si voleva, quella volta, evidenziare è, tra le altre cose, l’effetto stigmatizzante che l’essere indagato in un processo di mafia comporta per il cittadino e, quindi, l’inopportunità - ma si dovrebbe dire, meglio, la illegittimità - di attrarre a questi processi soggetti chiamati a rispondere di reati comuni, che non presentano alcun profilo di connessione, se non volgarmente numerica, statistica o “pubblicitaria”, con quelli di criminalità organizzata».
Un ultimo passaggio i penalisti di Catanzaro lo rivolgono al processo “Rinascita-Scott”: «Allora, pur di non ammettere l’errore, ma, si sa, il dogma dell’infallibilità va di moda in certi ambienti, si nascosero tutti dietro il feticcio del processo “Rinascita-Scott”, che, secondo un ragionamento oltremodo illogico, doveva necessariamente essere il vero obiettivo delle Camere penali e che andava protetto a tutti i costi».