La prima riforma del ministro della Giustizia Carlo Nordio fa un passo verso l’aula di Palazzo Madama, con l’ok, in Commissione Giustizia del Senato, degli emendamenti al disegno di legge promosso dal Guardasigilli. Passa, dunque, il niet alla pubblicazione delle intercettazioni che riguardano terze persone, «il minimo sindacale» per tutelarle, ha detto il ministro in Aula poche ore dopo.

Ma soprattutto, passa l’emendamento a firma Pierantonio Zanettin, relativo agli ascolti delle conversazioni fra difensore e indagato, un giro di vite che prevede il divieto di acquisizione di ogni forma di comunicazione, anche diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato e il proprio difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. Le operazioni di intercettazioni andranno «immediatamente» interrotte quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientra tra quelle vietate, ma non distrutte, come previsto dalla riformulazione del governo dell’emendamento del senatore di Forza Italia.

Un principio condiviso dal Pd, sulla carta, ma che non ha impedito ai dem di astenersi, stigmatizzando «il metodo che si è scelto per intervenire su questo tema - ha dichiarato Alfredo Bazoli -, oggetto di un apposito disegno di legge su cui la Commissione è già avanti nel lavoro e sul quale sono stati già presentati gli emendamenti. Questo modo di procedere rende infatti inutili i lavori della Commissione e impedisce all’opposizione di poter discutere i propri emendamenti sul tema».

Ma il dibattito sulle intercettazioni, poche ore dopo, si è trasferito in Aula al Senato, dove Nordio, nel corso della sua relazione al Parlamento, ha annunciato l’imminente «presentazione di un emendamento governativo, prima delle votazioni previste la prossima settimana» del ddl Zanettin in materia di sequestro di dispositivi e sistemi informatici, smartphone e memorie digitali, emendamento al quale il Guardasigilli ha lavorato con il suo vice Francesco Paolo Sisto nelle scorse settimane, anche sulla base della relazione conoscitiva sulle intercettazione frutto della Commissione Giustizia al Senato.

In aula, però, è arrivato l’attacco frontale del M5S, tramite Federico Cafiero de Raho, secondo cui ci sarebbe una «attenzione ossessiva del governo sulla pubblicazione e sulla informazione del contenuto delle intercettazioni. Il silenzio, sulle ordinanze di custodia cautelare, lo riteniamo molto grave. Il silenzio sui contenuti delle intercettazioni ostacola la prevenzione dei reati perché ostacola la conoscenza. Lei ministro, la presidente Meloni e la maggioranza tutta, sapete che il silenzio è omertà e sapete che le mafie si proteggono con l'omertà. La vostra politica è un favore alle mafie. Voi fate quello che le mafie sui loro territori impongono con l'intimidazione, zittite la stampa e le persone. Mai le mafie hanno avuto un trattamento così favorevole», ha urlato dai banchi l’ex procuratore nazionale, scatenando le proteste.

Il primo a reagire è stato Roberto Giachetti (Iv), che è intervenuto richiamando l’articolo 59 del regolamento dell’Aula che attribuisce al presidente «la responsabilità di individuare se quello che qui dentro diciamo si trasforma in insulto o se un deputato pronuncia parole sconvenienti. Sostenere che quello che la maggioranza sta facendo sulla norma è bavaglio, silenzia la stampa, è la tecnica che usa la mafia, non è accettabile. Non tutto - aggiunge tra gli applausi - può essere detto».

Ma non si è fatta attendere la risposta di de Raho: «Ho grande rispetto sia per il ministro che per l’Aula e per la politica - ha sottolineato l’ex capo della Dna -, non consentire la pubblicazione di contenuti determina il silenzio. Il silenzio è omertà e l’omertà è uno dei pilastri dell'associazione mafiosa. È un sillogismo, detto senza voler infangare alcuno». Un sillogismo «inaccettabile», ha replicato subito il forzista Giorgio Mulè, che presiedeva i lavori: «Se lei riporta omertà criminale devo censurare il suo intervento».
Insomma, il clima sulla giustizia è teso. E la maggioranza fa scudo contro gli attacchi dell’opposizione, i cui emendamenti, in Commissione, sono stati spazzati via. Tra questi anche quello che prevedeva uno stanziamento di 58,5 milioni di euro per il 2024 al fine di realizzare ulteriori istituti di custodia attenuata per detenute madri, firmato da Bazoli, Ilaria Cucchi e Ada Lopreiato. Quest’ultima ha ribadito la necessità di «rafforzare gli istituti di custodia attenuata per detenute madri che, come è noto, rappresentano un punto debole del sistema carcerario con problemi ai quali non si è mai riusciti a dare una soluzione ragionevole». Un concetto rilanciato dal dem Walter Verini, secondo cui «trovare una soluzione per rendere meno difficile la permanenza in carcere dei bimbi di madri detenute rappresenta un atto di civiltà che anche questo governo dovrebbe attentamente considerare».

Ma nulla da fare: la maggioranza ha respinto la proposta, così come il tentativo in extremis, da parte del grillino Roberto Scarpinato, di salvare l’abuso d’ufficio, tramite un ordine del giorno nel quale sottolineava come l’abrogazione del reato, «oltre alle criticità già evidenziate», avrà certamente «un impatto negativo ed immediato anche sull’attività della Procura europea che si occupa, come noto, dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che pertanto coinvolgono attività illecite compiute in relazione ai fondi di coesione, ai fondi strutturali, ai fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza - ha dichiarato in aula -. L’approvazione del provvedimento rischia di bloccare procedimenti giudiziari già in corso per i reati riferiti a queste fondamentali fonti di finanziamento, con l’ulteriore criticità rappresentata dalla concreta possibilità di una procedura europea di infrazione a carico dell'Italia».

Da qui l’invito al governo a «rivalutare la propria posizione circa l’abrogazione dell’abuso di ufficio», invito non accolto dal viceministro Sisto e dal sottosegretario Andrea Ostellari, presenti in Commissione per il governo, che hanno espresso parere non favorevole spianando la strada alla bocciatura dell’ordine del giorno. Due, invece, quelli approvati. Il primo, proposto da Zanettin, impegna il governo a valutare le modalità di intervento per modificare gli articoli 610 e 615 del codice di procedura penale - che disciplinano, rispettivamente, gli atti preliminari al giudizio di Cassazione e le successive deliberazioni e pubblicazioni - «per prevedere che una volta non rilevata una causa di inammissibilità dei ricorsi da parte del Presidente - con conseguente assegnazione all'apposita sezione - le sezioni giurisdizionali non possano più procedere alla declaratoria di inammissibilità dei medesimi ricorsi». Il secondo, invece, partendo dall’invito dell’Ue di ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio, indica l’opportunità di rafforzare i consulenti tecnici di ufficio, «figure che supportano il giudice nella formulazione della decisione finale».
Tra gli emendamenti presentati è stato ritirato quello proposto dal capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo in merito al pensionamento dei magistrati, che prevedeva il trattenimento in servizio delle toghe fino ai 73 anni d’età. Il testo è atteso in Aula la prossima settimana, dopo il mandato al relatore, che verrà votato martedì prossimo, dopo aver acquisito il parere della Commissione Bilancio.