Forse la corsa italiana a ramazzare miliardi qua e là basterà a fermare la procedura d'infrazione per debito. Probabilmente no. La richiesta della commissione è politica e strategica, non posta in termini di ragioneria. Chiede di modificare gli indirizzi di politica economica e di intervenire sul debito, non solo sul deficit 2019. I fondi che Tria sta affannosamente rintracciando, invece, provengono tutti da misure una tantum, non aggrediscono il debito e non prefigurano in alcuna misura i fondamentali della prossima legge di bilancio, che è la vera prima linea. Di conseguenza è quasi certo che la commissione, pur in scadenza, insisterà con la richiesta di procedere.

A decidere però saranno gli Stati, forse nella riunione del Consiglio del 9 luglio. Dovranno farlo a maggioranza qualificata e non semplice. Nel Consiglio ogni Stato membro dispone di un numero di voti proporzionale al suo peso demografico, al numero dei cittadini. I voti totali sono 352. Sino al 2014 per ottenere la maggioranza qualificata era necessario il sostegno del 73,86% degli aventi diritto, pari a 260 voti. Dal novembre 2014, in base al Trattato di Lisbona, però, la regola della maggioranza qualificata è cambiata. Il 72% è necessario ma solo se la proposta non proviene dall'alto rappresentante o, come nella procedura a danno dell'Italia, dalla Commissione. In questo caso, infatti, basta il 55% dei membri del Consiglio, purché siano espressione di almeno 16 Stati membri rappresentanti nel complesso come minimo il 65% della popolazione complessiva. Si capisce dunque perché Conte si stia dando da fare molto più con i leader dei vari governi che non con i commissari. La partita con la commissione è disperata, quella per il voto del Consiglio molto di meno.

I termini della procedura per debito non sono in realtà chiari, non essendoci alcun precedente. In un cero senso potrebbe essere proprio l'Italia a fare da ' cavia'. Di certo, se la proposta della commissione fosse approvata, la procedura verrebbe in un primo momento solo ' avviata'. Dovrebbe significare, in base all'art. 126 del Trattato sul funzionamento della Ue, che entro 10 giorni la Commissione formula e il Consiglio approva le condizioni per uscire dalla procedura. Di fatto un memorandum che l'Italia sarebbe tenuta ad accettare, adempiendo alle richieste di Bruxelles entro 6 mesi o, nei casi di ' inadempienza grave' entro 3 mesi. La commissione potrebbe chiedere contestualmente all'Italia un deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil.

La faccenda però è complicata dal contemporaneo rinnovo delle cariche in seguito alle elezioni europee di maggio. Il 9 luglio dovrebbe infatti essere già indicata la nuova Commissione, se il Consiglio uscirà dallo stallo nella seduta eccenzionale che sarà probabilmente convocata per il 30 giugno o in una successiva seduta dello stesso genere il 7 luglio. Ma pur se fosse indicata la nuova Commissione non sarebbe ancora stata suffragata dal voto del Parlamento europeo, che non arrierà prima di settembre. A disporre le condizioni per uscire dalla procedura sarebbe dunque o una Commissione di fatto già scaduta o una Commissione non ancora legittimata dal Parlamento.

Nel lasso di tempo indicato, dunque 6 o 3 mesi, la Commissione dovrebbe poi verificare l'adempimento delle misure contenute nel memorandum da parte dell'Italia. Ove riscontrasse la ' mancanza di azioni efficaci', proporrebbe al Consiglio di comminare una multa pari allo 0,2% del Pil e di inviare al governo di Roma una intimazione ad adempiere alle condizioni elencate nel memorandum entro 4 mesi o, in caso come al solito di ' inadempienza grave' entro 2 mesi.

Solo a questo punto scatterebbero le vere e proprie sanzioni previste dalla procedura e che potrebbero comprendere una multa sino allo 0,5% del Pil, pari a 9 mld di euro, il congelamento dei Fondi strutturali erogati dalla Ue, e che fino al 2020 sono nell'ordine di 73 mld, l'interruzione dei prestiti della Bce e l'uscita dal programma di acquisti dei titoli di Stato della Bce, il Quantitative Easing.

La sanzione più grave è però quella implicita. Ogni 3 mesi, infatti, i tecnici di Bruxelles verificherebbero lo stato dei conti pubblici italiani. Di fatto un commissariamento rigido che priverebbe per anni l'Italia di ogni sovranità sulla propria politica economica. E' opportuno ricordare che Mario Monti ha sempre rivendicato, non a torto, il merito di aver evitato con le sue misure draconiane all'Italia il peggio, cioè appunto la perdita totale di sovranità sulla politica economica.

Proprio la gravità della procedura avviata e la contestuale vacanza di poteri a Bruxelles potrebbe spingere il Consiglio a ' congelare' la decisione sull'avvio dell'iter. I termini entro i quali il Consiglio deve decidere sulla proposta della Commissione consentono infatti di arrivare al primo agosto ma a quel punto la pausa estiva imporrebbe un ulteriore slittamento sino a settembre. La copertura dello scostamento nel deficit garantita dalle misure italiane, pur se non strutturali, sarebbe un'ulteriore spinta in questo senso e questo è ciò a cui mira in realtà Conte nei suoi contatti diplomatici a Bruxelles. In questo modo, infatti, la partita sulla procedura e quella sulla legge di bilancio sarebbero anche formalmente unificate e le cose, per Roma, sarebbero leggermente più facili e più chiare, anche se comunque ad altissimo rischio trattandosi di una manovra che, se gli annunci della vigilia fossero confermati, si aggirerebbe sui 40- 45 mld.