Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario celebrata due giorni fa a piazza Cavour, la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano ha sottolineato che le pendenze, sia nel civile che nel penale, sono diminuite. Ma al netto dei dati, qual è la percezione che gli avvocati hanno dell’attuale condizione della giustizia? Lo abbiamo chiesto innanzitutto ad Antonio de Notaristefani, presidente dell’Unione nazionale Camere civili. «Sono stato presente in Cassazione e ho apprezzato la relazione della prima presidente», è la premessa. «Credo sia necessario precisare alcune cose. Innanzitutto, la percezione degli avvocati rispetto agli effetti della riforma Cartabia è assolutamente negativa», chiarisce subito de Notaristefani. «Questo d’altronde non è smentito dai dati forniti da Cassano, per due ragioni che è facile sintetizzare. La prima: la riforma Cartabia è entrata in vigore il 28 febbraio 2023. Quindi ipotizzare che un arco di dieci mesi potesse produrre un impatto significativo dal punto di vista statistico è francamente irrealistico. La seconda: se lei legge con attenzione la relazione della prima presidente, vedrà che viene indicato un abbattimento dell’arretrato civile, ed egualmente viene indicato un abbattimento di quello penale. Ma viene indicato il saldo: nel civile, le pendenze sono diminuite dell’ 8,2%, e del 9,8% nelle Corti d’appello. È chiaro che se questa diminuzione dipendesse da un incremento del numero delle decisioni, avremmo il segnale di una maggiore efficienza della giustizia. Se invece le pendenze diminuiscono perché arrivano meno iscrizioni a ruolo, significa invece che la gente non ha più fiducia nella giustizia. Allora è evidente che il dato della riduzione delle pendenze è sicuramente un dato utile, ma è altrettanto chiaro come, in assenza della spiegazione della riduzione delle pendenze, il dato si presti a interpretazioni diverse. Per quello che risulta a me, la riduzione delle pendenze dipende prevalentemente, se non esclusivamente, dalla riduzione dei nuovi giudizi. La gente non ha più la voglia o i soldi per chiedere giustizia. Questo con esclusione della Cassazione, dove c’è un incremento importante delle definizioni». Quindi ha ragione il presidente del Cnf Francesco Greco quando sostiene che «le recenti riforme del rito civile hanno, di fatto, chiuso le porte dei palazzi di giustizia agli avvocati e quindi ai cittadini, costruendo il paradosso di un processo senza il processo » ? «Sono assolutamente d’accordo con il presidente Greco», conclude de Notaristefani.

Abbiamo interpellato, sul tema, anche Carlo Foglieni, presidente dell’Aiga. «Sull’effettiva efficienza del processo, riteniamo vi siano ancora molte criticità da superare, su due profili in particolare. Il primo», osserva il leader dei giovani avvocati, «riguarda la digitalizzazione: ad oggi, siamo ancora un po' in ritardo. È necessario investire più risorse sia nell’adeguamento delle infrastrutture tecnologiche degli uffici giudiziari sia nella formazione del personale. Pensiamo al processo penale telematico: è stato necessario rinviare al 31 dicembre 2024 l’obbligatorietà del deposito degli atti via portale, in attesa della piena operatività del sistema. Pensiamo anche agli uffici del Giudice di Pace, dove pure dal 30 giugno è stato introdotto il processo telematico: il punto è che non tutti gli uffici sono stati attrezzati dal punto di vista tecnologico. E sarebbe necessario poi prevedere una piattaforma unica per tutti i processi. A ciò si aggiunge», prosegue Foglieni, «la carenza di personale amministrativo e giudicante: si tratta di un dato che la stessa presidente Cassano ha ben evidenziato nel proprio discorso inaugurale. Come

Aiga lo diciamo da tempo: le sole riforme del rito non sono di per sé sufficienti a migliorare l’efficienza del sistema giustizia, è necessario investire risorse assumendo più personale, anche mediante la stabilizzazione degli addetti all’Upp, e va introdotta anche la gestione manageriale dei tribunali». Foglieni, rispetto alle parole di Greco, dice: «Come Aiga condividiamo le parole del presidente del Cnf: effettivamente sul civile si sta andando troppo verso una cartolarizzazione del processo. È invece fondamentale che gli avvocati possano, nel pieno rispetto del contraddittorio, rappresentare le proprie istanze dinnanzi al giudice, guardandolo negli occhi, anche al fine di agevolare una definizione bonaria della vicenda con conseguente deflazione del contenzioso. Si metta anche nei panni del cittadino: c’è il rischio che non vedendo mai in volto il proprio giudice naturale e precostituito, come dice la nostra Costituzione, senta la giustizia sempre più distante, e che quindi si rafforzi ancora di più quel clima di sfiducia nei confronti dell’intero sistema. Dietro ad ogni processo e ad ogni fascicolo c’è sempre un risvolto umano, una storia di vita, e questo non lo dobbiamo mai dimenticare». Riguardo alla mancata soppressione dei limiti interposti all’appello dall’articolo 581 del codice di procedura penale, il presidente dei giovani avvocati nota: «Anche in questo caso condivido le parole del presidente Greco: si tratta di un limite molto forte imposto alla difesa».

Abbiamo infine raccolto le valutazioni di Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere penali. «Come abbiamo scritto nel titolo della nostra inaugurazione, la percezione è che il processo venga oramai inteso come un ostacolo posto all’accertamento della verità, un intralcio da evitare in ogni modo», attacca subito il leader dei penalisti. «Se una volta, ai tempi del varo del codice Vassalli, i riti alternativi erano visti come soluzioni volte alla valorizzazione del dibattimento, ora sembra che le cosiddette vie di fuga dal processo abbiano una funzione dissuasiva. Il dibattimento che avrebbe dovuto avere una posizione centrale nel modello accusatorio è visto come un luogo sinistro da evitare.

Se dunque il numero delle pendenze in genere è diminuito, occorrerebbe analizzare il dato disaggregato e valutare con attenzione quali siano le vere cause della deflazione, e se essa non coincida con una caduta delle garanzie». Sul nodo dei limiti all’appello, Petrelli ricorda come si tratti «di una delle questioni poste al centro della nostra delibera di astensione, che opportunamente il presidente Greco ha ricordato nel proprio intervento. La compressione del diritto di impugnazione incide in maniera gravissima sulla dignità stessa della funzione difensiva, in quanto interpone, a pena di inammissibilità, una serie di irragionevoli formalismi: il risultato davvero inaccettabile è che una sentenza ingiusta può acquistare efficacia di giudicato, con conseguenze drammatiche per l’imputato condannato e una serie di effetti negativi collaterali per l’intero ordinamento. In caso di esecuzione di quelle sentenze», fa notare Petrelli, «si otterranno infatti l’ulteriore incremento del sovraffollamento carcerario e la moltiplicazione successiva dei possibili rimedi rescissori previsti dalla legge. Una soluzione davvero irrazionale».