Magistrati e avvocati uniti contro la pena di morte e la giustizia sommaria degli ayatollah. L’Associazione Nazionale Magistrati unisce la propria voce a quella del Consiglio Nazionale Forense «nel denunciare fermamente – ancora una volta – le atrocità della repressione attuata dal regime iraniano e la sistematica violazione dei diritti e delle libertà fondamentali, soprattutto nei confronti delle donne». 

L’ultimo caso, segnalato ieri dal Cnf, riguarda la giovane manifestante Armita Abbassi, che rischia la pena di morte. Arrestata il 10 ottobre 2022 con l’accusa di essere una delle leader delle proteste contro il regime iraniano, sarà sottoposta a processo domenica 29 gennaio. I suoi avvocati, ai quali sono stati negati i colloqui, sono stati costretti a rinunciare alla difesa. Secondo fonti internazionali, durante la detenzione Armita Abbasi ha subito torture e violenze sessuali e le sanzioni previste per le condotte che le vengono contestate vanno dal bando, all’amputazione degli arti, alla crocifissione, sino alla pena di morte, alla quale sono già stati condannati altri manifestanti. La decisione del giudice è discrezionale e non necessita di motivazione.


«Per la celebrazione dei processi nei confronti dei cosiddetti “rivoltosi” sono state istituite apposite corti speciali che giungono a decisione in tempi estremamente ristretti e con ridottissime possibilità di appello», spiega in una nota l’Anm. Per questo il sindacato delle toghe «chiede che le istituzioni nazionali e sovranazionali si attivino per promuovere ogni possibile azione, attraverso i canali diplomatici, affinché il governo iraniano interrompa le intollerabili violenze ai danni della popolazione e garantisca equità nei processi, cessando immediatamente il ricorso alla pena di morte».