Signor Presidente, Signor Procuratore Generale, Magistrati, Avvocati, Autorità, Signore e Signori

I magistrati onorari avvertono crescente disagio nel prender parte a cerimonie ove si continua a considerarli degli “estranei della giurisdizione” e a non curarsi della la loro indecorosa condizione. Il trattamento insostenibile cui sono sottoposti è oggetto di aspre e mortificanti reprimende in sede euro unitaria, ma viene in patria bellamente ignorato: non solo non assurge a tema prioritario, ma anche negli interventi che abbiamo ascoltato viene a stento lambito con fugaci e vuoti accenni, quasi non fosse un affare della Giustizia.

I giudici onorari di tribunale, i vice procuratori onorari e i giudici di pace si sentono discriminati e respinti da un apparato giudiziario del quale – per restare alla bizantina, surreale espressione spesso usata dal CSM - “fanno parte” ma che “non compongono”.

In Paesi diversi dal nostro la dedizione, la competenza e l’elevata produttività di cui la categoria continuamente dà prova sarebbero apprezzate o addirittura premiate. Invece in Italia, pur incassandone gli enormi benefici, si continua a parlare di “anomalia”; e con pseudo-riforme, visibilmente incostituzionali, se ne pianifica una graduale marginalizzazione.

Si pensa di utilizzare i GOT nei tribunali solo finché farà comodo, ovvero fino a quando materie e affari non grati resteranno di competenza di tali Uffici, mentre non appena verranno estese le attribuzioni dei giudici di pace, ad occuparsene saranno nuovi precari, reclutati alla bisogna. Pazienza per i vecchi GOT, abbandonati dopo decenni di servizio ad un buio destino di esodati … senza neppure la prospettiva di una futura pensione!

Eppure “la maestà della Giustizia risiede intera in ciascuna sentenza emanata dal giudice in nome del popolo sovrano“. Risiede, cioè, nella funzione e non nella persona dinnanzi alla quale si svolge il processo, essendo del tutto indifferente che si tratti di un magistrato onorario o di magistrato di ruolo. Quando si discute di magistratura onoraria viene meno qualsiasi canone di coerenza e rigore e ci si addentra in un universo parallelo dove al legislatore, all’organo di autogoverno o ai singoli uffici tutto è consentito.

Così ci si muove sul crinale scivoloso della “volontarietà”, giungendo ad affermare che la prestazione dei magistrati onorari non ha natura lavorativa ma configura un “atto di liberalità” in favore del Ministero. Alla tutela fondamentale dei diritti della persona e del lavoratore si antepongono “interesse dell’Ufficio” e “buon andamento della Pubblica Amministrazione”. Vietato, poi, parlare di retribuzione: meglio riferirsi ad “indennità” che da un lato non vengono neppure sottoposte ad adeguamento ISTAT, dall’altro sono però bizzarramente tassate come redditi da lavoro.

Ed ancora, caso davvero unico, i magistrati onorari restano vincolati per tutta la vita, come accessori pertinenziali, all’ufficio in cui presentarono l’originaria domanda, magari venti o trent’anni prima, quando ancora non avevano costituito una famiglia, non avevano la necessità di assistere un familiare disabile o di sottoporsi, essi stessi, a cure mediche presso strutture distanti dal luogo ove prestano servizio. Ci chiediamo come sia possibile che questa barbarie giuridica ed umana che è la condizione quotidiana dei magistrati onorari, possa aver assunto stabile dimora nei presidi giudiziari di un Paese per altri versi evoluto, impregnando di sé atti, pareri, circolari, delibere, sentenze.

Com’è possibile che per giustificare questo ingiustificabile status quo si ricorra ancora oggi alla figura del “funzionario onorario” che manifestamente non ha alcuna attinenza con i magistrati onorari in carne e ossa e che suscita agli occhi delle istituzioni europee sconcerto e incredulità?

Basta leggere, tutta d’un fiato, la messa in mora complementare del 15 luglio 2022 per rendersi conto di come la Commissione europea non intenda affatto desistere dalla procedura d’infrazione per assenza di tutele, ma anzi, con toni espliciti, fustighi il legislatore italiano con riferimento alla riforma Orlando ma anche alle recenti modifiche introdotte con la legge di bilancio del 2022.

La Commissione evidenzia che nessun magistrato onorario è in servizio a seguito di nomina politico-discrezionale, svolge attività marginale, occasionale e autonoma o lavora per ottenere un mero rimborso spese.

Tutti hanno sostenuto un concorso per titoli a seguito di un bando pubblico e superato un tirocinio professionale; tutti sono stati sottoposti a procedure di conferma e lavorano osservando, sotto pena di sanzioni disciplinari, le tabelle e le disposizioni dell’ufficio, rispondendo ad interpelli rigidamente basati su competenze e curriculum; tutti svolgono attività lavorativa in modo stabile, intenso e continuativo, per lo più con anzianità ultra decennale, per mantenere se stessi e le proprie famiglie, offrendo al sistema un apporto significativo e irrinunciabile.

Sarebbe ora di mettere da parte disonorevoli mistificazioni e descrivere finalmente la realtà, nel rispetto che è dovuto alle persone, prima ancora che alla legge. E’ del tutto improprio paragonare la vicenda dei magistrati onorari a quella dei docenti precari, poiché ai primi, sono state corrisposte solo indennità a cottimo congelate ad aeternum ed è stato offerto di proseguire, senza alcun serio ristoro, nel rapporto “onorario”, mentre i secondi sono stati assunti in ruolo con contratti pubblici, avendo subito solo l’abusiva reiterazione dei contratti di lavoro e avendo, per il resto, percepito interamente ogni spettanza retributiva e previdenziale prevista per i lavoratori comparabili.

Un autore caro al Ministro della Giustizia ricorda che “la cura del giudice, nella sua interpretazione della legge, non deve essere soltanto limitata al caso specifico che viene sottoposto al suo giudizio, ma estendersi anche alle conseguenze, buone o cattive, che possono derivare dalla sua sentenza nell’interesse generale”. Allo stesso modo, anche la cura del legislatore dovrebbe sempre guardare alle conseguenze che possono derivare dalla norma alla generalità dei consociati.

Con l’art. 1, comma 629, n. 5, della legge 234/2021 è stato imposto a lavoratori precari e sottopagati, fragilizzati dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica, di presentare una domanda per conseguire, all’esito dell’ennesima procedura di valutazione, un misterioso trattamento economico e previdenziale, nonché una permanenza in servizio cui avevano peraltro già diritto, almeno fino a 31.05.2024, in forza di decreti di conferma del “Custode dei Sigilli”. 

Da quella domanda, estorta a chi non poteva permettersi un’immediata decadenza dalle funzioni, scaturirebbe ope legis la rinuncia tombale ai diritti di lavoratore: “La domanda di partecipazione alle procedure valutative di cui al comma 3 comporta rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario pregresso, salvo il diritto all’indennità di cui al comma 2 in caso di mancata conferma”.

Quest’ultima indennità, anch’essa sottoposta a tassazione come un reddito di lavoro, ascende poi ad appena 1.500 euro lordi forfettari, per ciascun anno di sfruttamento e privazione dei diritti di lavoratore. Previsione pericolosa e meschina, che nella colpevole inerzia della politica e dei media è passata sotto silenzio, ma che ferisce a morte i valori dello Stato di diritto e si pone quale minaccioso precedente per ogni lavoratore.

Per concludere, non possiamo che augurare, a quanti operano o confidano nella Giustizia, che l’anno che si inaugura oggi, in presenza di volti e vertici rinnovati, possa portare un reale cambiamento, mettendo fine allo sfruttamento lavorativo nei tribunali e sanando gli errori del passato con adeguate misure economiche in favore di tutti i magistrati onorari, anche già cessati, che hanno sofferto la reiterata violazione di diritti costituzionali irrinunciabili ad opera di quello stesso Stato che era chiamato a garantirli.

Associazione GOT “non possiamo più tacere”