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Non sappiamo esattamente come sia maturato il voto con cui il parlamentino Anm, domenica scorsa, ha dato via libera a una mozione che lascia intravedere una pesantissima accusa al governo: non si è fatto tutto quanto possibile per salvare i migranti dal tragico naufragio di Cutro. Una nota approvata a maggioranza, letteralmente sul filo del rasoio, visto che è passata per 12 voti a 11 e che il sì decisivo è arrivato da un componente di Unicost, Giacomo Ebner, schieratosi in dissenso dal proprio gruppo. Di fatto se il giudice del Tribunale di Roma si fosse allineato al resto della corrente centrista, la presa di posizione dell’Anm sarebbe stata bocciata.
È in corso da domenica un fitto scambio polemico tra le varie componenti associative, con Magistratura indipendente, gruppo che si è opposto in blocco all’iniziativa, autrice di un lungo contro-documento, e con la presidente di Unicost, Rossella Marro, che ieri ha chiarito all’Adn-Kronos il motivo della dissociazione: «Come cittadini siamo tutti addolorati dalla morte di uomini, donne e bambini, naufragati mentre tentavano di raggiungere il nostro paese. Come magistrati è nostro dovere tacere in merito alla specifica vicenda: è in corso un’inchiesta chiamata a verificare eventuali responsabilità». La nota sostenuta e approvata dagli altri gruppi, Md e Area in testa, rischia, ha aggiunto Marro, di «coinvolgere la magistratura in una polemica politica dalla quale dovrebbe mantenersi estranea».
Ecco, ma è impossibile trattenere un interrogativo: perché l’Anm ha deciso, seppur tra nette divisioni, di schierarsi in modo così esplicito, con una incursione che ha spinto il segretario di Mi Angelo Piraino a contestare, sul Foglio di ieri, l’idea che il “sindacato” dei giudici possa proporsi come «attore politico»? Difficile rispondere.
È indiscutibile che si tratti, nella storia recente dell’Anm, del caso in cui il carattere schiettamente politico di una presa di posizione è più estraneo al tradizionale perimetro della politica giudiziaria. In quell’ambito l’associazionismo delle toghe è evidentemente assai più legittimato a condurre battaglie. Finora solo Magistratura democratica si era spinta tanto oltre, ma con iniziative unilaterali, che non avevano mai sfondato il muro della maggioranza Anm. Stavolta invece la passione politica dei giudici progressisti ha fatto cappotto: ha trascinato l’intero “sindacato” in un attacco politico con pochi precedenti. Viene un sospetto: schierarsi così nettamente contro un esecutivo e una maggioranza di destra può servire proprio alle battaglie politiche in cui la magistratura è più direttamente coinvolta. In altre parole: ora le toghe, o almeno le loro rappresentanze politiche, non godono della popolarità che potevano riscuotere fra i gli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, quando gli attacchi al governo Berlusconi costituivano un modo per utilizzare proprio lo straordinario consenso di cui la magistratura all’epoca godeva per fermare le riforme del ministro Castelli.
Oggi è diverso. Oggi, se Carlo Nordio decidesse di accelerare sulla separazione delle carriere, non assisteremmo a girotondi in piazza Montecitorio. Così l’Anm è istintivamente sollecitata a spingersi verso posizioni antigovernative ampiamente condivise nell’opinione pubblica, qual è l’indignazione per le presunte omissioni di soccorso a Cutro. L’obiettivo non dichiarato, e forse non del tutto manifesto agli occhi degli stessi magistrati, è ritrovare simpatie che un domani potrebbero lasciare, forse, i magistrati meno soli di fronte alle riforme di Nordio.