Se non è un caso unico è sicuramente raro. Al processo ' Angeli e Demoni', sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, siamo ormai al sesto testimone indagabile. Questa volta è toccato ad un’affidataria che, secondo l’impostazione dell’accusa, in realtà non avrebbe mai preso in carico il minore. Un presunto finto affido che ha fatto finire nei guai, però, soltanto gli assistenti sociali e non la donna, alla quale per quell’attività veniva erogata un contributo affido.

La sua posizione ha a che fare con il cosiddetto “Progetto App”, per il quale la teste svolgeva una serie di compiti, in particolare legati alla preparazione dei pasti per i ragazzi in carico al servizio sociale che frequentavano il progetto. La teste aveva iniziato a rispondere alle domande del pm Valentina Salvi, incappando, però, in dichiarazioni autoindizianti, avendo affermato di aver preso dei soldi senza aver fatto da affidataria.

Una versione che le difese erano pronte a contestare con atti e documenti alla mano, ma non ce n'è stato il tempo: la sua deposizione è stata infatti interrotta e la donna, come altre cinque persone prima di lei, dovrà tornare accompagnata da un avvocato.

E accompagnata da un avvocato, ieri, si era presentata anche l'assistente sociale Francesca Magnavacchi, dichiarata indagabile in una delle ultime udienze. La professionista aveva scelto come difensore già impegnato nell’ambito di questo processo. La scelta è stata però contestata dalla pm Salvi, che ha depositato una memoria scritta sostenendo l’incompatibilità dell’incarico, dal momento che Magnavacchi potrebbe dover riferire sull’imputato difeso da quel legale. Un assunto contestato dalle difese, data l’assenza di capi che potrebbero coinvolgere entrambi e l’estraneità dei due, ma accolto dalla Corte, che dunque ha rispedito a casa l’assistente sociale, invitandola a tornare con un nuovo avvocato. In aula, ieri, era attesa anche la consulente tecnica d’ufficio presso il Tribunale dei minori di Bologna, Anna Maria Capponcelli, non presente in aula per difetto di notifica.

Rispetto alla sua posizione, però, la difesa della psicoterapeuta Nadia Bolognini - rappresentata dagli avvocati Luca Bauccio e Francesca Guazzi - ha sollevato una nuova eccezione, sostenendo la possibilità che ci si trovi di fronte all’ennesimo teste indagabile. Il capo di accusa è costruito, infatti, sull’esistenza di una falsa perizia, che sarebbe stata da lei redatta perché - questa la tesi della procura - indotta in errore.

Proprio per tale motivo, però, Capponcelli avrebbe dovuto essere ascoltata, in sede di sommarie informazioni, con l’assistenza di un legale: era necessario prima escludere una sua eventuale responsabilità per poi poter usare le sue dichiarazioni come elementi a carico degli attuali imputati. Bauccio ha sollevato l’eccezione non solo per Capponcelli, ma anche per un altro Ctu, Giuseppe Bresciani, tra i testi dell’accusa. «In questo modo si mette una persona nella condizione di accusare gli altri per non accusare se stessi - ha sottolineato Bauccio - e noi rischiamo, sentendole, di esporre queste persone a dei reati. Non solo dobbiamo tutelare gli imputati, dobbiamo tutelare anche questi testimoni».

Le continue eccezioni delle difese hanno fatto reagire la pm, che si è riservata di depositare una memoria sul modus operandi del collegio difensivo, di fatto considerando le eccezioni una sorta di tattica dilatoria. «Se siamo arrivati a questo punto - ha commentato Oliviero Mazza, difensore, insieme a Rossella Ognibene, di Federica Anghinolfi, responsabile del servizio sociale della Val d’Enza - è a causa dell’impostazione che è stata data alle indagini. Lo stesso vale per l’accertamento delle presunte lesioni in danno dei minori, di natura psichica: si trattava di accertamenti tecnici irripetibili, perché il tutto è stato fatto unilateralmente, senza informare le difese per il contraddittorio? Come sarà possibile, ora, recuperare quel gap che si è determinato col passare degli anni? Come facciamo, oggi, a valutare l’infermità psichica di un minore per effetto dell’affido e della psicoterapia a distanza di 5- 6 anni?».

La difesa di Carletti, in aula, pur ricordando che il proprio assistito chiede da sempre che sulla propria posizione si possa fare chiarezza per dimostrare l’inconsistenza delle accuse a lui rivolte, ha sollevato poi un’altra questione: quella della ormai prossima abrogazione e comunque della prescrizione del reato di abuso d’ufficio contestato al sindaco.

A partire dall’ 8 aprile, infatti, in aula sfileranno i testi relativi all'imputazione che lo riguarda, ma se la giurisprudenza da seguire è quella che vede come momento consumativo il momento dell’accordo deliberativo - questa la tesi di Giovanni Tarquini, difensore del sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, Mazza e Bauccio -, allora il presunto reato risale al momento della delibera con la quale, nel settembre 2016, è stato istituito il centro “La Cura”, dove si svolgevano le sedute di psicoterapie, anzi sempre secondo la imputazione l’accordo risalirebbe addirittura a mesi prima. Una data dalla quale sono trascorsi, dunque, almeno sette anni e mezzo, motivo per cui sarebbe già scattata la mannaia della prescrizione. Ed anche ragionando diversamente, potrebbe essere ormai prossima l’approvazione definitiva del ddl Nordio, già passato al Senato, che prevede, tra l’altro, l’abrogazione del reato contestato.